Di Diego Giachetti
La pubblicazione del libro coincide con la ricorrenza del trentennale dello scontro che si aprì alla Fiat nell’autunno del 1980, dovuto alla richiesta (esaudita) da parte della direzione aziendale di espellere, mediante la messa in cassa integrazione a zero ore, 23 mila lavoratori. Per 35 giorni, tanto durò la vertenza, i metalmeccanici del gruppo automobilistico diedero battaglia per contrastare il piano aziendale, e furono sconfitti. La loro sconfitta cambiò le sorti della storia del nostro Paese. Finivano gli anni Settanta, iniziavano i fatidici anni Ottanta con tutto il corollario che seguì e che ci portò, volendo, fino ai giorni nostri. Un libro che giunge puntuale, per costringerci a ricordare ciò che accadde, non per il gusto di rivangare il passato, ma per obbligarci a riflettere da dove veniamo e qual è l’origine di molti del problemi che oggi devono affrontare le forze che si richiamano ancora al movimento operaio. Insomma, si getta luce su un “pezzo” della storia italiana, troppo spesso rimosso, dimenticato, quasi si fosse tratta di una parentesi dopo la quale tutto ricominciò, come se niente fosse accaduto. Il tema scelto, la storia del sindacato unitario denominatosi Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici (FLM), e il contesto sociale e politico in cui essa si dispiegò, indirizzano l’autore a tracciare un racconto che non è solo sindacale, ma narrazione storica totale, a tutto campo: politica, sociale, di “mentalità”. Diversamente non poteva essere dato l’intreccio continuo e “martellante” della vicenda FLM, con la storia in generale del Paese negli anni Settanta. Pur partendo dall’asse privilegiato del racconto della breve vita di un sindacato – che ha le sue origini nelle lotte dell’autunno caldo del 1969, si costituisce nel 1972 e cessa di esistere nel 1984, in occasione del referendum sulla scala mobile – i rimandi al contesto storico sono quindi continui e inevitabili. Intanto si segnala subito l’anomalia FLM rispetto ai sindacato confederali (Cgil, Cisl, e Uil). Era un sindacato unitario di categoria, dove molti dei suoi iscritti non optarono per una precisa scelta confederale, basato sui consigli di fabbrica e sui delegati eletti dai gruppi omogenei dei lavoratori e non più sulle rappresentanze sindacali in fabbrica, com’erano le tradizionali Commissioni interne. Poi era un sindacato che faceva, ed era “costretto” a fare, “politica”, nel senso che le sue rivendicazioni esulavano dalla mera contrattazione aziendale, ponendosi sul terreno del governo della fabbrica, della produzione, con generali proposte in materia di indirizzo economico e sociale, con vere e proprie prese di posizione politica, trascinato in questo anche dagli avvenimenti che si succedevano: stragi fasciste, riforme istituzionali, politiche governative. Interessante in merito la ricostruzione del dibattito interno alla FLM nella seconda metà degli anni Settanta, quando furono varati i governi di unità nazionale, con partecipazione indiretta o diretta del PCI, quando si celebrò la svolta moderata, dei “sacrifici da chiedere agli operai”, dell’Eur (1978) e, infine, la reazione e al lotta contro il “terrorismo rosso”. Si trattò, per dirla col capitolo conclusivo, di un sindacato “anomalo” nel panorama della storia sindacale, riconducibile all’altrettanta “anomalia” del caso Italia negli anni Settanta, quando, come in poche altre occasioni della nostra storia, emerse una partecipazione e un protagonismo di massa tesi a trasformare alcune condizioni strutturali e politiche in senso democratico e, perché no, rivoluzionario. Un’“anomalia” che fu recuperata, non senza difficoltà, dalle classi dominanti nel decennio che seguì. Non a caso attenta e dettagliata è l’analisi dei “35 giorni alla Fiat” e della sconfitta allora subita dal movimento operaio, perché lì sta il punto di svolta che segna un’inversione dei rapporti di forza tra le classi a vantaggio di quella dominante. Da lì parte una cesura politica e sindacale destinata a protrarsi nel tempo. Quella sconfitta, che molti ancora non vogliono chiamare così, si aggirò per decenni come uno spettro, un’ombra inquietante da cui guardarsi, da schivare, lasciata per troppo tempo alla sola memoria individuale dei protagonisti. La storia dell’FLM e la sua conclusione doveva passare inevitabilmente dai “35 giorni”. Merito del libro è quindi, innanzi tutto, quello di ridare dignità, collocazione storica a quel passaggio cruciale, nella speranza che a partire dal riconoscimento di quella sconfitta e delle sua cause, possa ripartire una ricostruzione del nuovo movimento operaio e sindacale. Se questo avverrà molto dell’esperienza della FLM sarà riscoperta e ripresa e questa volta non solo ai fini di una storia corretta e completa (che è già qualcosa), ma dell’agire nel presente.
Nino De Amicis, La difficile utopia del possibile. La Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici nel “decennio operaio” (1968-1984), Roma, Ediesse, 2010, pp. 347, euro 18.00.