(Cuneiform/Ird 2009)
Seconda uscita discografica per il trio newyorchese Ergo, che torna a tre anni di distanza dal buon successo di critica dell’esordio “Quality Anatomechanical Music Since 2005”. La singolarità della miscela electro-jazz messa a punto dal terzetto può essere compresa già solo rilevando la strumentazione nelle loro mani: Brett Sroka poggia le sua dita su trombone e laptop, Carl Maguire si occupa del piano Rhodes e di un synth analogico mentre Shawn Baltazor si concentra sulla batteria. Il risultato è un mix di sperimentazioni ambient e reminiscenze jazz a cavallo tra il minimalismo di Philip Glass, i design di ghiaccio degli Autechre e un Louis Armstrong incupito dagli anni.
Sei tracce per poco più di tre quarti d’ora di musica al ralenti, come annunciano i sottili sfregolii sintetici che aprono Rana Sylvatica. Vessel è un lungo crescendo nel quale a dominare è invece la solitudine del trombone di Sroka, che si staglia enorme in una oscurità profonda e opprimente. In She Haunts Me almeno piano e synth arrivano in soccorso, ma le tenebre sono sempre più fitte anche se più soporifere che addolorate. Little Shadow si poggia su un drumming tipicamente jazzy per cristallizzare i viaggi sonici di Sroka e Maguire. Endlessly (Multitude, Solitude) è una funerea marcia dimessa che veleggia in landscapes desolati. Manca poco prima di riemergere dagli abissi, ma c’è ancora spazio per Actuator, ipnosi jazztronica lisergica da turbinio onirico.
Poca multitude e tanta solitude nel disco degli Ergo, il cui lavoro mostra una delle possibili direttrici di sviluppo di un genere, il jazz, spesso troppo ancorato ai grandi del passato. Un po’ monocorde alla lunga, ma il trio ha sicuro avvenire.
Voto: 7
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