Vanderlei ‘L’inesatto’


(Cinico Disincanto/Halidon 2010)

I Vanderlei sono una formazione bolognese nata nel 2005 dalle ceneri dei Kybbuz, band con all’attivo due demo, “La Scatola” (1999) e “Danzatore” (2001), entrambi premiati dall’apprezzamento della stampa specializzata e da numerosi passaggi radiofonici su emittenti locali. Dopo una serie di esibizioni accanto a gente del calibro di Verdena, Meganoidi, Parto delle nuvole Pesanti, Negramaro e Modena City Ramblers, i nostri decidono di imprimere una svolta alla loro carriera. Assumono il moniker di Vanderlei e realizzano autonomamente un primo EP, “1234”, uscito nel 2008. Ma è l’incontro con Paolo Benvegnù a segnare la svolta vera e propria: è infatti l’ex leader degli ormai disciolti Scisma (ed ora solista di straordinario valore) a produrre “L’Inesatto”, primo full-lenght dei bolognesi.
Il risultato di questo incontro è un album che coniuga durezza e malinconia. Volendo inquadrare meglio il sound della band capitanata dal cantante/chitarrista Christian Volpi, potremmo dire che esso si colloca in quella terra di mezzo tra l’indie-rock ed il post-rock più “cantautorali” (i riferimenti principali, dunque, sono Marlene Kuntz ed Afterhours), senza disdegnare, tuttavia, qualche accenno sperimentale, che si manifesta tramite l’innesto di sonorità elettroniche ed arrangiamenti che, alla “sacra trinità” basso-chitarra-batteria, affiancano armonica, archi, flauto, diamonica ed organetto.
I momenti migliori dell’album sono rappresentati dalla suadente danza della title-track, dall’energica Il Dunque (forte di un bel riff bruciante che poggia sui tempi dispari scanditi dalla sezione ritmica), dalla lenta Pittori (che sfodera raffinati passaggi orchestrali), dalla cupa (gioco), nella cui articolata struttura confluiscono arpeggi folk, pesanti beat elettronici ed un synth che tratteggia un soundscape sospeso e fluttuante, e soprattutto dalla suggestiva Graffi, il capolavoro dell’album, che impasta una splendida melodia orchestrale con chitarre sature che lentamente prendono il sopravvento, lanciandosi in un emozionante crescendo finale.
Il resto dei brani è di buona fattura, anche se a tratti un po’ troppo debitrice di Agnelli e Godano (Cedere, Santissimo Dubbio, Il Fascino dell’Attimo – con quest’ultima, però, che vanta, se non altro, un bell’intermezzo giocato principalmente sull’interazione tra una batteria marziale e l’organetto).
In conclusione, Christian Volpi, Massimo Gandolfi (chitarre, armonica, fender rhodes), Stefano Franchi (chitarre, voce, armonica, violino), Piero Guaraldi (bassi, chitarre, flauto, diamonica, organetto) e Vicenzo Matozza (batteria) hanno confezionato un buon lavoro, primo passo di una carriera che potrebbe essere ricca di soddisfazioni artistiche. Bravi.

Voto: 7

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