(Silber Records / Carrot Top 2010)
Quanti modi ci sono per interpretare il drone? Per Remora, progetto solista di Brian John Mitchell, decisamente infiniti, facendosi prima conoscere per i suoi rumorosi lavori di chitarra e album di cover, poi per una serie di esperimenti con vocalizzi a capella e, ora, con il nuovo lavoro ‘Mecha’, si tratta di escursioni pop elettroniche.
L’intero album è stato inizialmente composto su chitarra, poi il tutto è stato convertito con diversi strumenti midi, utilizzando Little Drummer Boy; tra l’altro diversi pezzi sono già comparsi in versione non elettronica in diversi lavori del passato. Il risultato è sicuramente particolare, come se gli Hum avessero deciso di buttarsi a fare elettronica a capofitto (ascoltate WWIII e ditemi se non ve li ricorda!).
L’inizio con la strumentale e robotica March mi aveva lasciato un po’ stranito, ma poi l’orecchiabilità di momenti notevoli come la tenera Demon Fighter o Lilly e l’angolare Every Morning mi ha convinto in pieno. La tematica sottostante all’album è la storia di un uomo fatto schiavo su Marte che fugge e scopre l’amore, per poi perderlo e decidere di tornare a combattere con l’aiuto di un enorme robot, su cui appunto graffitterà il nome Mecha.
Certo, lo stile di cantato distaccato e perennemente filtrato come fosse attraverso un baracchino, dopo dodici canzoni risulta abbastanza fastidioso; ma il tema portante di ‘Mecha’ è proprio quello, e comunque ben si sposa con l’umore perennemente estraniato e triste. Insomma, personalmente, non l’ho trovato un gran ostacolo al godimento dell’album.
Insomma, dopo un primo momento di straniamento, a cui sarà ben abituato chi ha già seguito Remora in passato, è difficile non abbandonarsi in pieno alla malinconia che impregna ‘Mecha’, risultando un esperimento musicalmente forse non riuscitissimo (alcuni strumenti midi a volte suonano piuttosto plasticosi), ma che rimane un album davvero interessante, dal buon ritmo e produzione. Chi l’avrebbe mai detto!
Voto: 8
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