(Improvvisatore Involontario 2011)
Chitarra acustica ed elettrica, batteria e percussioni, piccoli
loops, ad ampliar la struttura.
Enrico Cassia (le corde) e
Antonio Quinci (il battito), realizzano un’opera, fra le più
intriganti sentite di recente.
Ancorata alla tradizione (il jazz),
ma aperta e sensibile.
Registrato ponendosi in due ambienti
separati, Cassia e Quinci, senza l’ausilio dello sguardo, del gesto,
si lascian guidare, dal reciproco riflesso, che giunge dalle
cuffie.
Nessun editing successivo, frasi complete, incidenti di
percorso e ritrovamenti preziosi, tutto alla luce del sole.
Il
risultato, parla di un lavoro d’affiatamento importante, puoi quasi
sentirlo, lo scorrer delle lunghe ore d’improvvisazione
comune.
Strabiliante, organica coesione.
Etnicismi, propensione
lisergica, interferenze noise.
Ampiezza e capacità
descrittiva; uno splendore letterale.
Nessun ipotesi che prenda il
sopravvento, un continuo refolo, caldo ed altamente comunicativo,
ogni possibile zona tedio, agilmente evitata.
Sono i colori del
Mediterraneo, dell’Africa, delle libere e creative esplosioni free,
di dorate stagioni impolverate (David Crosby, Jerry Garcia,
Ry Cooder).
Lingua secca e febbrile, tra ripiegamenti
fingerpicking e ariosi rimandi Davis.
I silenzi di
polverosi pomeriggi, gli abbacinanti riflessi del mare, il muoversi
lento, dietro imposte socchiuse.
Musciaccà, Culur’i
Vitru, A Pittara, Assettiti, U Cantu Da Lupa,
Suli, son fasci di nervi a riposo, in penombre ben
organizzate.
Beneamata Improsatura, la radice, il punto di
partenza, frammentata, esuberante.
Scerra, calcinosa e
scultorea, fra ululato di feedback e metallici stridori.
Suoni
sfardati sul serio (dalla tradizione, sfilacciati).
Lasciati
cuocer al sole, sino a diventar nuovo ingrediente, per magiche
pozioni.
D’antica provenienza orale, ma di futuribile
realizzazione.
Da spellarsi le mani nell’applauso.
Voto: 8
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