(Setola Di Maiale 2011)
Cristalli, senz’altro, ma anche ceramiche che s’infrangono,
percuoter di legno contro legno, sfrigolar di silicio e balbettamenti
umani.
L’opera di Gian Luigi Diana è
sorprendente.
Una lunga trafila di vita, Pordenone sul principio,
rock blues, laboratori impro jazz.
Urgenza, Berlino, occupazioni e
minimal techno; non basta.
Sette anni in India, yoga, sitar, canto
Druphad.
Tornare a casa?
Si, certo.
Per cosa?
New York,
luci al neon, rigogliosa consapevolezza.
Rincorrer l’osso
bianco.
L’essenza.
Umana ricerca prima che arte, dritti all’ora
e adesso.
Che non potrebbe esser migliore.
Una serie di duetti,
dove Gian Luigi Diana si destreggia fra live electronics, voce,
piano e sound manipulation.
Ad accompagnarlo nel suo percorso,
troviamo: Patrick Holmes al clarinetto, Porra-Boy,
flauto e slide guitar, Lisa Dowling al contrabbasso, Bojan
Z. sax e clarinetto.
Quindici percorsi fuori dal coro, dove il
suono, si allunga sino a divenire quasi stringa inudibile, scansione
sferzante, impressionistico drappeggiar sinusoide, morso emotivo
astratto/ironico, pestar di tasti, ricordo di etnie
lontane.
Necessario infine, un profondo inchino, al gran rombo del
silenzio, incombente su tutto, su tutti.
Su ogni parola, ogni
pensiero.
Un’espressione ed un approccio scultoreo, che ingloba e
accarezza l’immensità del vuoto, dove ogni evento, trova la
propria, naturale, armonica collocazione.
Sospensioni aeree,
densità, calibrate stratificazioni, impeccabile a dir
poco.
Bertoia avrebbe annuito soddisfatto.
Risvegliarsi
dopo una rovinosa caduta, constatar di esser integri, ciò di
cui si necessita, improvvisamente a fuoco, esser vivi, con passione,
umiltà, forza, curiosità e rispetto.
Da quel momento
in poi, tutto il resto, un’inutile sfilata.
Profonda ispirazione
che mira al cuore.
Avvicinatevi a Gian Luigi Diana.
Avvicinatevi.
Voto: 8
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