(Autoprodotto 2011)
Due anni dopo l’interessante ep di esordio “Mogli e Buoi dei Paesi Altrui”, gli anconetani Mannaggiatte tornano a fare capolino con un nuovo mini album di 6 tracce per 23 minuti di musica a cavallo tra rock polveroso e cantautorato folk. A differenza dell’esordio, dal gusto molto stelle e strisce, la virata verso un modello cantautorale più aderente alle nuova proposte italiche, Mannarino e compagnia bella in primis, pare evidente.
Un riarrangiamento brillante della scanzonata Elio, già contenuta nel disco datato 2009, toglie la patina surreale che contraddistingueva la musica del quintetto e fa da trait d’union più ipotetico che reale con il recente passato. L’ampliamento dell’orchestrazione non corrisponde, però, ad un affinamento dei buoni spunti fatti vedere nella prima prova su disco.
Ad aprire l’iniziale La Banda, che veleggia tra Bennato e Barbarossa con echi vagamente ska a sostenere la forte invettiva sociopolitica di Pitturi. La Rotta Del Metro si stringe tra Wilco, Waits e fumosità da piano bar, riproposte poco dopo anche in Ghetto. Il debito verso la nuova scena cantautorale romanesca diventa evidente in Co’ Tutte Le Donne prima di sciogliersi nel boogie burlesque Sicilian.
La leggera malinconia sospinta da leggeri soffi chitarristici di due anni fa manca terribilmente in un album, questo ‘Bar Tamara Apper Cleb’ che cede visibilmente verso un’omologazione a standard ultimamente decisamente di tendenza nell’ambito del cantautorato alternativo. Magari ciò potrebbe significare una maggiore visibilità al di sopra della densa coltre dell’underground, ma al prezzo di scemare in quanto a originalità musicale. Restano apprezzabili le liriche pungenti ed ironiche, ma per la sufficienza è troppo poco.
Voto: 5
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