Di Diego Giachetti
Quella di Luigi Guidi Buffarini è la storia, non troppo romanzata (il che non guasta) del viaggio da lui compiuo assieme ad un gruppo di italiani verso la mitica città di Kathmandu, luogo d’approdo ricercato sulla via delle indie, riscoperta dagli hippies dell’occidente, alla ricerca della spiritualità negata e vilipesa dal capitalismo consumista e materialista. Una spiritualità interiore che andava ritrovata, a partire dallo sviluppo delle proprie facoltà psichiche, con l’aiuto di sostanze stupefacenti di cui si diceva, in parte a ragione, che il viaggio e la permanenza in quella città avrebbe favorito. L’autore riprende in mano il suo vecchio taccuino di viaggio per riproporlo come documento di un periodo che fotografa, alla fine degli anni sessanta e all’inizio dei settanta del secolo scorso, l’andata verso quei luoghi di una parte, sociologicamente rilevante, del movimento giovanile che stava contestando le cosiddette società del benessere, quelle neocapitalistiche per usare un termine caro alla saggistica di quegli anni. Erano gli hippies, originariamente nati in America nella seconda metà degli anni sessanta, sull’onda delle lotte studentesche contro la guerra del Vietnam e della rivolta dei neri degli Stati Uniti. La società andava cambiata a partire dall’adozione di stili di vita alternativi, da praticare immediatamente. Ciò comportò una sorta di secessione dalla società corrente, attraverso la creazione di comunità giovanili che adottavano stili di vita alternativi. La “fuga” dal modello occidentale comportò anche la ricerca di mondi nuovi, di uomini e donne appartenenti a società diverse. Così in quegli anni un discreto flusso di giovani viaggiatori con mezzi improvvisati, che si avventurarono via terra verso la Turchia, l’Iran, il Pakistan, fino all’India. Stessa cosa fecero i “nostri” italiani qui descritti. A bordo di un Ford transit di seconda mano affrontarono un viaggio di migliaia e miglia di chilometri incontrando inevitabili imprevisti e una umanità varia di occidentali che si muovevano, come loro, su quella rotta intersecando le loro vite e le loro mentalità con quelle delle popolazioni locali che contattavano inevitabilmente durante il viaggio. Senza mai cedere al richiamo di farne un romanzo, il libro mantiene sempre il tono di un taccuino di viaggio dove sono registrati fatti ed eventi inerenti la quotidianità vissuta durante il percorso. Le difficoltà e i problemi legati alla persona: la sete, le malattie intestinali, i pernottamenti in alberghi a basso prezzo e quindi con pessime condizioni igieniche, i nuovi compagni di viaggio, raccattati durante il percorso, quasi tutti con storie personali borderline. I non facili incontri con le popolazioni locali costrette al contatto con questi giovani occidentali, così diversi dai loro usi e costumi, le quali cercavano in tutti i modi di trarne qualche guadagno. Sullo sfondo, tra le righe, emerge prepotente la descrizione di paesaggi naturali stupefacenti, diversi da quelli europei, vissuti però, almeno nell’esperienza di chi racconta, col disincanto dovuto. Ad esempio, di fronte allo spettacolo estetico rappresentato da un deserto o da una notte stellata, egli afferma che in alcune situazioni, lo avrebbe scambiato con una bottiglia di acqua minerale fresca e pulita. Allo stesso modo la vita sociale e politica dei vari paesi che attraversano resta sulla sfondo, certo empiricamente vedono l’ingiustizia, la miseria, la fame, il degrado dei costumi civili, almeno secondo i parametri occidentali. Il viaggio è descritto con ricchezza di particolari, senza farne però un mito, come non sono mitizzati i protagonisti, colti nelle loro debolezze e difficoltà, e neanche le popolazioni locali. Non si concede nulla al mito del “buon selvaggio”, della società primitiva e incontaminata. Se mai si tende a misurare la distanza che li separa da quei luoghi e da quelle civiltà. In fondo il loro scopo è il viaggio, è raggiungere Kathmandu. Obiettivo non tradito, neanche dal Ford transit che, a parte alcuni prevedibili guasti riparabili, mantiene fede alle buone referenze tecniche di cui gode e li porta nella città. L’autore non trae grandi conclusioni e riflessioni sociologiche dal suo racconto. Ma chiunque voglia farlo non ha difficoltà a cimentarsi in quanto i fatti narrati già sono, di per sé, una documentazione sociale di prima mano.
Link: Luigi Guidi Buffarini, La lunga strada per Kathmandu. Quando gli hippies migravano in Oriente, Milano, Ignazio Maria Gallino editore, 2011, pp. 220, euro 12.50