(Trovarobato / Parade 2011)
L’incontro tra Raineri, Vanni, Calderoni e Cavina avviene alcuni anni fa sui banchi del Conservatorio di Bologna, e da lì la storia è breve: alcune partecipazioni e premiazioni in concorsi nazionali, la sonorizzazione di “Dementia” di John Parker nel 2010, collaborazioni varie con nomi di spicco quali Yuppie Flu, Mariposa e Calibro 35, ed oggi l’album d’esordio per la concittadina Trovarobato.
Quello dei Junkfood è un avant-jazz che sconfina spesso e volentieri in territori rock: chiarisce gli intenti l’iniziale Exodus, che nasce come un jazz notturno capace di evocare solitudini metropolitane degne del miglior Scorsese per poi trasformarsi in un crescendo di fantasmi, polveri elettroniche e tensione non appena la chitarra inizia a emulare le melodie tratteggiate poco prima dai fiati. E questi ultimi ritornano vigorosi nel finale, ad annunciare la successiva Aging Hippie Liberal Douche, vero schiacciasassi math/noise: un riff quadrato della sei corde ad ingabbiare una tromba pachidermica, sorniona e cupa ma costantemente pronta a colpire con tutta la sua veemenza. Un ponte interlocutorio che convince poco, ma il finale fa dimenticare la sbandata. A placare i toni intervengono Wrap You in Plastic e Hikikomori: siamo su quelle vie post-rock e ambient un tempo percorse dai Tortoise, un’abbondanza di armonie articolate e mai banali, scie elettroniche e dilatazioni di chitarre filtrate; Rehabilitation program rimanda invece ai Karate, con il suo incedere rock elegante e sinuoso in cui spicca un pregevole assolo degno del miglior Farina. Da segnalare ancora Head Towards Enemy, un delirio noise in crescendo che a una partenza soporifera accumula in sequenza lo scalciare di una batteria impaziente, arabeschi di chitarra sempre più inquieti ed infine una tromba effettata e ultra riverberata che schizza sui toni alti; e la conclusiva I’m God’s Lonely Man, che chiude il cerchio riallacciandosi alle atmosfere di Exodus, melodie che si insinuano come fumo nelle fessure più contorte e buie.
Un mutante che dribbla barriere stilistiche e al contempo mantiene alti livelli di orecchiabilità e fruibilità, nonostante la tanta (troppa?) carne al fuoco e qualche incertezza stilistica camuffata in eclettismo, penso al math furioso e pesante dei brani iniziali che cozza un po’ con l’atmosfera generale. Il giudizio migliora ascolto dopo ascolto, ma non se ne va del tutto la sensazione che qualcosa sia ancora da mettere a fuoco: tranquilli, le carte in regola ci sono tutte.
Voto: 6
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Autore: alealeale82@yahoo.it