Quattro chiacchiere digitali con Stefano Giust dell’etichetta Setola di Maiale
Di Marco Paolucci
29/01/2012 Nuova puntata, dopo una lunga pausa, della rubrica Quattro Chiacchiere Digitali. Questa volta le facciamo con Stefano Giust, uno dei creatori dell’etichetta Setola di Maiale, agguerrita realtà nostrana dedita, come recita la scritta sull’home page del sito, alla musica improvvisata, sperimentale, elettronica, contemporanea. Non pago di ciò Giust è anche un eccellente batterista sperimentatore a tutto tondo, impegnato in moltissimi progetti con svariati artisti internazionali e soprattutto un simpaticissimo, acuto e “fluviale” conversatore. Leggere per credere.
(foto di Angela C. Villa)
1) Quali sono le origini dell’etichetta? Come è nata l’idea? Quali ispirazioni ci sono state? A quali modelli, se ci sono stati, si è fatto riferimento?
Nel 1993, anno in cui è nata Setola di Maiale, c’era ancora la coda di tutto quel primo movimento artistico che oggi conosciamo con il nome di “Cassette Culture”, fatto di autoproduzione e attitudine DIY. Si potrebbe dire che per molti artisti di allora, una sorta di social network fossero delle cassette compilation che tante micro etichette di tutto il mondo stampavano in tirature limitate e in cui i vari partecipanti erano messi in contatto. Ciò dava vita a tante inedite collaborazioni, network, circuiti e collegamenti che assomigliavano per davvero ai tunnel dell’underground. Tutto questo movimento ultra sotterraneo era per me eccitante, creativo, del tutto estraneo ai fenomeni di massa e alle mode spicciole, una realtà veramente indipendente. Setola arriva da qui, da questo retroterra culturale e non poteva esser che così, visto il modo che ha di comportarsi.
A muovere me e Paolo De Piaggi, musicista e amico di lunga data, era la necessità di creare un marchietto nostro, integerrimo, intransigente, non degradabile e privo di compromessi. Un marchio sul quale riversare tutti i nostri esperimenti musicali, senza doverci curare di nessun altro aspetto, se non della produzione medesima. Era ed è rimasto, un universo utopico e “off” rispetto alle prassi consuete di produzione e circolazione discografica. Successivamente, le cose si sono evolute, dalla cassetta degli inizi al cdr di oggi – sempre inalterata però la cura e l’attenzione per i progetti grafici e la scelta dei supporti – mentre il catalogo si è arricchito strada facendo di nomi cosiddetti importanti della musica sperimentale internazionale e di nuovi geni che più o meno volontariamente rimangono nell’ombra. Comunque è rimasta una realtà estrema e underground e non cambierei per nulla al mondo tutto questo! Non mi importa se qualcuno non lo capisce.
Tutte le cose che faccio sono una mia scelta consapevole e sono mosse da una forte determinazione oltre che dall’entusiasmo mio proprio, per questo non ho mai voluto coinvolgermi in situazioni e modi di fare che non “sentivo”. Il mondo circostante ti aiuta nelle scelte, così come la storia di coloro che, prima di te, hanno voluto inventarsi delle “cose” per rimanere quello che erano. E infatti ho constatato che, salvo qualche eccezione, le etichette che prediligo sono gestite da musicisti. Grande fonte di ispirazione fu l’immenso Sun Ra che ha creato, che io sappia, una delle prime etichette discografiche autoprodotte; poi la Recommended di Chris Cutler, certamente la FMP e molte altre etichette d’avanguardia, inclusa l’eccezionale Cramps ed altre americane ed europee, anche se molte di queste esistevano grazie alle sovvenzioni statali, come in Olanda e in Germania. Ma i dati di partenza sono molto diversi: per Setola sono un pubblico minuscolo (quello che è oggi il pubblico più ‘aperto’ delle cosiddette musiche d’avanguardia) e budget contenuti. Se si ha l’intenzione di produrre tanti album – privi di potenziale commerciale – è molto difficile riuscirci producendo vinili e cd, considerato com’è il mercato, il free download, l’interesse e la partecipazione del pubblico e la quantità di materiale vecchio e nuovo già in circolazione.
Penso che, oggi, una buona via per un musicista sia mettere la propria musica in download (per esempio Bandcamp e probabilmente non I-Tunes, certamente non Spotify, dove una certa Lady Gaga per il suo brano “Poker Face”, cliccato oltre il milione di volte, ha ricevuto dal sito 167 dollari di guadagno!). Rimane poi validissimo stampare contemporaneamente in vinile, se si può, oppure su cd o cdr. Per chi ha una attività concertistica, avere con sé dei dischi è particolarmente positivo. C’è tutt’ora una grande discussione su quale sia, per un musicista contemporaneo indipendente, la cosa migliore da fare con la propria musica. E qui, a ciascuno la sua libertà di movimento!
Ma alla fine, qui stiamo parlando di musica non commerciale, lo ripeto, non alla moda, musica che vuole solo essere quello che è: libera. Musica fatta così se ne è sempre suonata e i suoi problemi sono rimasti più o meno gli stessi di sempre.
Parecchi anni fa, uno dei padri della musica moderna ebbe a dire che “per i più, certi suoni sono solo rumori e ritmi incomprensibili, ma per qualcuno di noi sono musica.” Le cose stanno ancora così.
(Camusi (Patrizia Oliva, Stefano Giust) @ Mercedes, Porto, Portugal 2007)
2) Come scegli le produzioni?
É la qualità musicale, la coerenza e l’onestà dei musicisti ad orientarmi nelle scelte artistiche. Però devo anche dire, che quando è un musicista che io già conosco a propormi un album per l’etichetta, posso anche non ascoltare il materiale, tanto è scontato che sarà prodotto. Alla fine, sono i musicisti stessi ad alimentare le energie che permettono a Setola di Maiale di fare i dischi che realizza. A dirla tutta, non ho mai considerato Setola una etichetta discografica, la considero un archivio, un magazzino o una cassaforte dove ci sono dischi rari e, se posso dirlo, belli – anche se questa è una parola decisamente dubbia! Le musiche che tratto non sono di facile fruizione, l’ho detto, i suoi musicisti non prestano attenzione al look e a queste cose qui. Molti di noi (tra cui io) non si curano di spedire il disco a The Wire, non c’è quel tipo di affanno. Io non voglio correre dietro a nessuno, non mi aspetto nulla e questo alleggerisce di molto l’esistenza. E poi, chi può dire cosa riserva la vita per lui? Certamente a me, ha stupito parecchie volte. Forse anni fa ero più rancoroso con il sistema, ma oggi, anche alla luce di come vanno le cose tutto intorno, è già una fortuna avere uno strumento da suonare… Quindi non me la prendo se Blow Up non ha mai fatto un articolo monografico su Setola di Maiale, il suo direttore avrà le sue motivazioni ed i suoi orientamenti editoriali. E qui forse sta uno dei miei maggiori “pregi”: essere riuscito a portare avanti questa realtà a prescindere dal pubblico e dalla stampa.
La musica del catalogo è senza compromessi, è vero, ma non è inascoltabile, tutt’altro, non tutti i dischi sono così difficili. Per dire, tra i vari titoli ci sono anche alcuni albums di “canzoni”, “pezzi”, che però non sono stati composti da musicisti che aspiravano a chissà quale feedback commerciale, ma da sperimentatori con vedute talmente larghe che amano cimentarsi anche in contesti meno sperimentali e radicali. É l’atteggiamento, la motivazione che ci sta dietro a fare la differenza, per me; a molti probabilmente non interessano queste cose: se un brano suona bene, suona bene, a prescindere da chi come e perché lo ha fatto. Io non stimo chi si muove solo per accontentare il gusto del pubblico e assicurarsi una pensione. Non facciamo quei dischi lì, qui. Penso che chi ha, nella vita, come unica prerogativa il fare soldi, beh, alla fine non se li porterà nella tomba! Chi invece si è chiesto delle cose, su se stesso e sul mondo che lo circonda e queste cose le ha sapute ascoltare, arricchendo la sua anima in profondità, se le porterà dietro queste cose… oh sì! Penso che siamo esseri infiniti molto complessi, e ciascuno su questa terra fa quello che può, fa la sua esperienza quale che sia. Ho sempre avuto una certa difficoltà a rapportarmi al mondo, non mi piace così com’è, non mi è mai piaciuto, come l’umanità indistinta, così come si percepisce nelle strade della città. Mi viene da chiudermi in casa o, all’opposto, di girar per boschi. Devo ricordarmi le cose belle che produce, questa umanità, altrimenti è l’oblio. Ciascuno deve trovare un suo mo(n)do ed un suo equilibrio per difendersi dall’abbrutimento che lo circonda. Forse rimanere integro e sereno per le cose che si fanno o si cerca di fare, è un buon inizio.
Tornando alla musica e alla sua circolazione, non sono molto d’accordo con l’idea di mettere in free download il proprio lavoro. Io stesso ho due lavori usciti in passato per due netlabel, in free download: la mia composizione elettronica “MKUltra” (presente anche nel catalogo setolare) e un trio free con Laforgia e Mariano, registrato a Scatole Sonore nel 2007 a Roma. Nonostante questo, mi chiedo perché un appassionato di musica non dovrebbe avere alcuna spesa per ascoltare un lavoro che invece è costato sudore e denaro: per qualcuno si tratta di lavoro e alla fine del mese ha le stesse bollette da pagare di chiunque! Se poi un musicista ha un altro impiego, bene, può di sicuro decidere più serenamente delle proprie cose perché ha altre entrate. Per fare un esempio, “MKUltra” mi è costato, escluso il concerto in solo di Reggio Calabria, 10 ore al giorno per 30 giorni consecutivi di duro lavoro sulla ricomposizione della musica registrata al concerto. Risultato: un pezzo elettronico di 25 minuti.
La musica è disgraziata: pensa ad un quadro dell’800 che abbia una certa importanza, al costo che questa opera ha oggi, e fai una comparazione con un lavoro musicale sempre dell’epoca, altrettanto importante, che so, il monumentale (e bellissimo) “Tristano e Isotta” di Wagner: nei mercatini dell’usato puoi trovare un cofanetto in ottimo stato, della Decca, con 5 dischi in vinile più libretto, a cinque euro! Come la mettiamo?
Il valore di un musicista si misura nel numero di birre che fa vendere all’Arci che lo ospita e questo non va bene, perché non c’entra con l’arte. Il numero di biglietti venduti al botteghino del teatro, non c’entra nulla con la qualità musicale che si suonerà sul palco, ma ha invece a che fare con la promozione, la stampa, il martellamento di tutto un coro di personaggi, che attraverso i loro mezzi d’informazione, riescono a persuadere il pubblico che quella roba là merita ed è trendy. Senza tutto questo tam tam, i musicisti del film “Buena Vista Social Club” sarebbero rimasti sconosciuti al mondo, com’è stato per tutta la loro vita, mentre invece, grazie al film di Wenders, sono diventati famosi e amati. Questo per fare un banalissimo esempio.
Altra cosa è poi parlare dei problemi economici che i gestori dei locali o dei festival hanno.
Un artista ha solo due strade che può percorrere: una è la sua propria (visione romantica) e l’altra è diventare uomo di marketing, un tecnico, affabile, simpatico e un po’ giullare a seconda delle circostanze, che implica anche e naturalmente assecondare i gusti in voga del suo tempo. In altre parole serve furbizia e capacità imprenditoriale e, a mio modo di vedere e anche a costo di risultare antiquato, tutto ciò non ha a che fare con la musica e l’arte. Di nuovo: a ciascuno le sue scelte. Quel che è certo, al momento, è che l’umanesimo ha ceduto il passo alla tecnica, e questa è la nostra civiltà, oggi.
É ovvio che i musicisti hanno bisogno di quei quattro denari che arrivano dalla loro musica, come si fa a pensare che essi debbano lavorare gratis? Un muratore forse lo fa? Un artigiano lo fa? Un impiegato lo fa? Pretendere musica gratis significa mortificare l’arte, non solo considerare un artista come uno che vive d’aria: spero saremo tutti d’accordo che un mondo senza artisti sarebbe un mondo più brutto, ed è all’incirca quello in cui ci troviamo oggi, a meno che non andiamo a cercarli negli scantinati o nelle soffitte, i vari registi, scrittori, musicisti e così via (salvo qualche eccezione, naturalmente). Bisogna pretendere ben altre cose gratuitamente, come la sanità ed una scuola decente per esempio, non l’arte!
Nell’ultimo film-documentario di Herzog, si descrive questa antichissima caverna scoperta in Francia nel 1994, nella quale sono stati ritrovati disegni che sono a dir poco fantastici, bellissimi e perfettamente integri e smaglianti… sembrano nati dalla mano di uno studente delle Belle Arti! Invece risalgono a 32 mila anni fa! É una delle più antiche testimonianze umane mai ritrovate ed è arte, creatività, contemplazione, non armi rudimentali o utensili, ma arte! Arte!
Quando si ha a che fare con la cultura, la cosa diventa rilevante per “qualcuno”, perché gli artisti sono liberi pensatori per definizione, tendono a ragionare con la propria testa, amano e inneggiano alla libertà (cose che infatti le popstar solitamente non fanno… guai ad esporsi… se non per dire banalità o peggio, per fare ulteriori soldi ipocritamente). Insomma, bisogna averli sotto controllo, gli artisti. Un tempo pensavo che questa attenzione del potere si concentrasse sulla sola musica popolare commerciale. La questione è invece molto più ampia e interessante, perché se si considera – come si è recentemente accertato – che nel mondo musicale “accademico” del secondo dopoguerra, c’era l’aiuto economico e strategico della CIA dietro i famosi corsi estivi di Darmstadt – secondo un preciso progetto di “denazificazione” dell’Europa (e così è accaduto, beninteso, anche per altre importanti istituzioni) – non si può che restare attoniti! Qualsiasi azione antifascista mi trova d’accordissimo, ma non è questo il punto qui, bensì il fatto che la cultura e la sua capacità di andare da una parte piuttosto che dall’altra è decisa nella stanza dei bottoni in cima alla piramide, in grado cioè di alimentarne i percorsi ritenuti strategici, offrendo loro enormi quantità di denaro, almeno per un determinato periodo di tempo, finché è ritenuto utile. E questo è un fatto, non una supposizione. Se non ci fossero stati questi enormi investimenti di denaro, cosa sarebbe stato del lavoro di quei compositori che frequentavano e animavano quei corsi, come Nono, Stockhausen, Boulez, Cage, etc.? Quale eco avrebbe avuto la loro musica? Come avrebbero vissuto quei musicisti? Come avrebbero lavorato? Di certo avrebbero scritto quanto avevano da scrivere (Messiaen ha scritto il “Quartetto per la Fine dei Tempi” in un campo di concentramento nazista!) ma circa le opportunità di esecuzione? Insomma, quando sento qualcuno che dice “ma alla fine è il pubblico che decide cosa funziona e cosa no” mi viene il nervoso, perché il pubblico non decide proprio un bel niente! É esattamente quello che avviene con il potere politico e questa fintissima democrazia occidentale. Alla gente viene offerta una certa cosa e un’altra certa cosa e la gente sceglie tra le due certe cose… e le altre cose?! dove sono le altre nostre incerte cose?!
3) Come sono i rapporti con i musicisti?
Direi molto buoni perché tanti sono amici e conoscenti, musicisti che ho incontrato personalmente o con cui ho collaborato. É tutta parte di una comunità che in qualche modo condivide, si scambia impressioni, idee, vita. Anche nel caso io non conosca personalmente i musicisti, le cose si snodano in maniera armonica e serena, non vedo perché dovrebbe essere altrimenti.
4) Cosa pensi delle coproduzioni?
Penso bene, è bello quando queste cordate di etichette realizzano un disco che altrimenti faticherebbe ad uscire, per le solite conosciute avversità pecuniarie o di mercato. Non ci vedo alcun male nel collaborare insieme per un fine, tanto più che queste cose accadono tra piccole etichette indipendenti, mai tra grosse label. Questo vuol dire qualcosa. Nonostante ciò, io ne ho realizzate pochissime con Setola, probabilmente perché ho sempre molto materiale da produrre, preferisco spendere qui le mie energie.
(Stefano @ Cinema Visionario – Centro per le Arti Visive, Udine 2011
solo performance on Fulvia Spizzo’s Pagine di Musica Iterativa
organized by Paola Bristot for Vivacomix)
5) Quali pensi siano state, analizzando questo primo spaccato di uscite, le produzioni migliori targate Setola di Maiale Records? Quali le peggiori?
Parlare dei singoli titoli è davvero difficile, potrei scriverne per ore… Posso però dire che ho creduto in ciascuno di questi dischi nel mentre li producevo, certo è una ovvietà ma è così. Non dico che non ci sia qualcosa nel catalogo che ho preso un po’ sotto gamba, ma penso ad una manciata di album sui 220 prodotti fino ad oggi. Dovendone parlare, mi viene d’istinto fare il nome dei musicisti, e così farò, piuttosto che elencare qualcuno dei loro dischi perché mi riesce davvero difficile fare scalette o stilare un “the best of”, non è nelle mie capacità mentali.
Facendo una carrellata veloce sul catalogo, salta all’occhio che l’apporto dei musicisti stranieri è andato incrementandosi, in maniera del tutto naturale, con nomi cosiddetti di rilievo nel panorama della musica improvvisata, come Mick Beck, Matthias Boss, Kent Carter, Paed Conca, Michel F. Côté, Massimo De Mattia, Tobias Delius, Jean Derome, Marco Eneidi, Jean-Luc Guionnet, Gianni Gebbia, Nils Gerold, Francesco Guerri, Tristan Honsinger, Zlatko Kaučič, Joëlle Léandre, Pablo Ledesma, Gianni Lenoci, Marcello Magliocchi, Edoardo Marraffa, Gianni Mimmo, Kanoko Nishi, Steve Potts, Wolfgang Reisinger, Edoardo Ricci, Enzo Rocco, Harri Sjöström, Clayton Thomas, Vincenzo Vasi, Carlos Zingaro e molti altri come William Winant e Fred Frith per esempio, che collaborano nell’ultimo ottimo disco dell’americana MaryClare Brzytwa. Sul fronte della musica elettronica, certamente di interessante ci sono l’italo-newyorkese Gian Luigi Diana, il portoghese Gustavo Costa, il greco Dimitris Santziliotis, l’italiano Tiziano Milani, l’americano Bob Marsh, il moldavo Bogdan Dullsky, l’inglese Gareth Mitchell, gli italiani Logoplasm e Adriano Zanni. Poi ci sono tutti quei lavori in cui l’elettronica è accostata a strumenti acustici o elettrici, e sono tantissimi titoli, come Nautilus Duo, Laghima, i russi Wooden Plants dell’iper-attivo Ilia Belorukov, Panji, Razoj, Gbur, Newton 2060, Ipersensity, Jealousy Party, i progetti solistici di Dominik Gawara, il tedesco Edmund Steinberger, Carver, alcuni progetti di Ivan Pilat, Lendormin, A Spirale, IoIoI, Massimo Falascone, la newyorkese Ela Orleans, la già citata MaryClare Brzytwa, Lonius, Kar, Patrizia Oliva, Francesco Calandrino, L’Amorth Duo, Camusi, St.ride, Squame, Gamra, Vortbar, Daniele Pagliero, Babelis Project, Rediffusion, Andrej Bako, i miei stessi lavori in solo e molti altri. Sono anche molto contento di aver realizzato, l’anno scorso, una bella idea del chitarrista Marco Tabellini, cioè il doppio “Guitar – An Anthology of Experimental Solo Guitar Music” dove ci sono, oltre a Marco, chitarristi come Stefano Pilia, Olaf Rupp, Michal Dymny, Manuel Mota, Chris Iemulo, Alvari Lume, Pablo Montagne, Eric Arn e tanti altri, per un disco davvero illuminante su quello che è oggi lo stato dell’arte di questo strumento, nelle musiche di ricerca. Sempre sul fronte dei chitarristi sono felice che nel catalogo figurino artisti come Eugenio Sanna, Domenico Caliri, Sergio Sorrentino, Ninni Morgia, Stefano Ferrian, Denis Biason, Luciano Margorani, Claudio Lodati, Mirko Busatto, Juan Castañon, Mikaele Pellegino, Xabier Iriondo, Jonny Drury e molti altri ancora. Insomma, dovrei citare un sacco di musicisti… come i batteristi Marcello Magliocchi, Filippo Monico, Paolo Sanna, Michel F. Côté, Cristiano Calcagnile, Jimmy Johnsen, João Filipe, Zlatko Kaučič, Andrea Quattrini, Giacomo Mongelli, Kris Vanderstraeten, Franco Del Monego, oppure i pianisti come Nicola Guazzaloca, Gianni Lenoci, Giorgio Pacorig, Alberto Braida e… mi fermo qui, dai.
(Magimc (Thollem McDonas, Edoardo Marraffa, Stefano Giust)
@ Area Sismica, Forlì-Cesena, November 2011)
6) Con chi ti è piaciuto collaborare sia come produttore che come musicista?
Le collaborazioni che ho avuto, tutte, mi hanno aiutato a capire qualcosa di me e del mondo e sono molto felice di avere avuto queste opportunità. Probabilmente i personaggi con grande esperienza musicale, hanno saputo pormi delle questioni interessanti ed anche mi hanno dato molti stimoli e insegnamenti. Ma succede a volte, che ci si conosca sul palco o in studio e difficilmente qui si trova il tempo concreto di approfondire i rapporti umani, magari lo si fa poi, per corrispondenza, o ad un secondo incontro. Io stesso, devo riconoscere che non sono sempre così loquace, salvo sentirmi molto a mio agio, allora divento molto loquace! Credo sia un po’ tipico per le persone che amano la solitudine e magari sono anche un po’ “antisociali”. Citare dei nomi mi riesce difficile, perché sono davvero tanti i musicisti con cui è stato bello condividere e collaborare… Ad ogni modo, per fare almeno un nome, dirò Mick Beck. Oltre ad essere un sassofonista eccezionale e d’annata, ed un uomo incredibilmente intelligente, è “non vedente”: passare del tempo in sua compagnia, conoscerlo, vederlo nella vita di tutti i giorni, capire quando e come porgergli il braccio a seconda delle circostanze, sentirlo suonare, condividere la musica… insomma è stata una esperienza sorprendente e molto profonda. Abbiamo passato due settimane insieme nel 2008 per un tour in Inghilterra e Scozia, fatto come Blistrap in trio con l’altrettanto affabile e vivace Jonny Drury, poi ci siamo incontrati ancora per suonare a Radio Resonance, a Londra. Peccato sia così difficile mantenere in attività progetti come questi…
(Nils Gerold / Nicola Guazzaloca / Stefano Giust
@ Popular School of Music Ivan Illich, Bologna July 2011)
7) Con chi vorresti collaborare sia come produttore che come musicista?
Così su due piedi mi vengono in mente dei nomi di musicisti che sono ormai morti, ma sono più che altro reminescenze giovanili. A quale improvvisatore non sarebbe piaciuto suonare con Tom Cora o Derek Bailey? O suonare con Cecil Taylor, oggi? Con altri musicisti che mi piacciono ho avuto ed ho tutt’ora il piacere di collaborare. Ad ogni modo, mi piace poter dire di non aver mai rincorso nessuno, né come musicista né come “produttore” per Setola; le cose avvengono perché devono accadere. Posso dire dell’ultimo musicista in ordine di tempo con cui ho avuto il piacere di collaborare e con il quale ho passato del tempo in compagnia, il pianista americano Thollem McDonas che, con Edoardo Marraffa, suona con me nel trio Magimc. Thollem ed io abbiamo molti amici e conoscenti in comune, così è successo che siamo entrati in contatto. Volevamo suonare insieme già anni fa, ma nelle occasioni in cui lui si trovava in Italia non s’erano trovati concerti da fare, così, dopo qualche anno, Thollem tiene un seminario a Bologna presso l’attivissima Scuola Popolare di Musica Ivan Illich e lì organizza lui stesso questo trio, nell’ambito del suo workshop, poi bissato all’Area Sismica. Uscirà presto un nostro disco per l’Amirani dell’amico Gianni Mimmo. Insomma, Thollem è una persona davvero speciale, con un grande patrimonio umano e artistico; sono fortunato a conoscere persone così.
8) Come vedi la scena musicale italiana?
Quale scena? Anche se ne troviamo qualcuna, poi all’interno sono tutte frastagliate o sparse in tante schegge. Ci sono questi gruppi e solisti molto spinti dalla stampa e che a me non piacciono ed anzi non riesco a capire cosa ci sia di così interessante.
I musicisti italiani sono come sono gli italiani nel loro insieme: un po’ presuntuosi e sempre in cerca di una qualche gloria, oppure al contrario hanno una frustrazione che li acceca. Non conoscono molto l’umiltà. C’è poi tanta paura a calpestare qualche piede che può tornare utile, paura a manifestare le proprie idee. Francamente oggi mi sono stancato di “difendere” intellettualmente, come spesso ho fatto in passato, i musicisti del nostro paese, perché, generalizzando molto, pensano solo per se stessi ed è per questo che non ha mai funzionato un cazzo in Italia, sul piano organizzativo.
Giorni fa ho letto in Internet un lunghissimo battibecco tra alcuni musicisti del bel paese, all’indomani della pubblicazione delle pagelle del Top Jazz 2011, creata come di consueto dalla rivista Musica Jazz (che io nemmeno ho letto né leggerò). Un turpiloquio pesantissimo tra jazzisti ortodossi ed altri spinti più in avanti, ma comunque non così radicali ed estremi. Insomma, una polemica incredibile su chi meritasse l’ambito “premio”, una discussione capace solo di mettere in evidenza quanta frustrazione ci sia, quanta divergenza e soprattutto quanto poco rispetto ci sia tra generazioni e orientamenti artistici differenti. Ed è poi questa la cosa che più infastidisce. Per molti conservatori di questa musica, l’attacco veniva servito citando le (loro) regole ferree e intramontabili del jazz, nessuna altra argomentazione di natura artistica che non sia questa polemica idiomatica e tanta mancanza di rispetto per chi quelle regole le osserva a suo modo o non le osserva affatto. Una guerra dalla quale prendo volentieri le distanze! Per alcuni musicisti il jazz è un punto di partenza e non di arrivo, al contrario, per altri, non è un punto di partenza, ma di arrivo. Forte. A seconda dell’orientamento personale, sono tante le definizioni che si danno al jazz, ma alla fine questa musica incredibile non ha una definizione (e nemmeno la desidera). Se per qualcuno il jazz è solo lo swing o non lo considera storicamente oltre il 1959, allora di certo come batterista non suono jazz e tanto meno Setola di Maiale è una etichetta di jazz. Consiglio caldamente il libro di Giancarlo Schiaffini “E non chiamatelo jazz”, per quei bravi tipi di Auditorium.
9) Come vedi la scena live italiana?
Vedo sempre gli stessi nomi stampati sulle locandine ed è così per tanti generi musicali. Vedo gestori che non hanno molte idee imprenditoriali, vedo poco coraggio nel cercare di proporre le cose in maniera diversa. Più o meno tutti sono alla sopravvivenza e per questo vanno sui nomi sicuri, lo posso anche capire, l’importante è vendere biglietti o birra. In Italia è come vivere in una stanza dove tutte le finestre sono su un solo lato. Ma per fortuna questo non vale per tutti. Qualcuno pensa che la musica improvvisata ha stancato, circuitata in idee trite e ritrite: io personalmente lo penso del rock e del pop tutto, di molta musica elettronica, della techno, della musica leggera, del nuovo folk e così via, una lunga lista.
E penso anche che se i musicisti, insieme agli attori, ai registi, agli artisti visivi, non lavorassero sottocosto o addirittura gratis, oggi, nel 2012 gran parte del mondo artistico sarebbe rappresentato dal solo mainstream e alla gente non resterebbe che leggere i libri venduti negli autogrill, vedere il cinema di hollywood e ascoltare le musichette di Radio Deejay. Supportare l’arte non è “robetta”: là fuori c’è qualcuno che lavora per rendere sempre più schifosa la vita alla gente, e così c’è una bella differenza tra spendere i soldi per un concerto di qualche popstar milionaria e spenderli invece per un disco indipendente o per un concerto di una giovane band della propria città. Il pubblico è pigro, manipolato, è poco incline a ricercare, è piuttosto desideroso di farsi indirizzare da qualcuno. Ama essere ingabbiato in questa o quella tribù.
10) Progetti futuri?
Futuro. Guarda, intanto spero che il mondo che conosciamo finisca presto per trasformarsi in qualcosa di nuovo, e che sia finalmente spensierato! Spensierato per tutti! Comunque, nell’immediato futuro, ci sarà il disco del trio Magimc per Amirani Records; con Setola sto per fare uscire un altro trio insieme al flautista tedesco Nils Gerold e il pianista Nicola Guazzaloca; poi un disco bizzarro, ancora in trio, con Gian Luigi Diana e Lorenzo Commisso, già con me nel progetto Papiers Collés. Sempre con Gian, uscirà un quartetto con i fratelli Mos e poi più in là, un duo con il sassofonista tedesco Mario Rechtern. Con l’etichetta continuerò a produrre molti dischi nuovi già in agenda, e sono tanti i titoli in programmazione… tra cui un LP del mio vecchio gruppo Le Bambine, intitolato “1994” e che conterrà un concerto di quegli anni, con l’ultima musica composta dal trio, rimasta inedita fino ad oggi e per la quale ho sempre nutrito un certo amore. Tra le nuove uscite anche un doppio di Roberto Del Piano, con materiale inedito e storico degli anni ’80 (disco che includerà anche Edoardo Ricci, Stefano Bartolini, Guido Mazzon e molti altri musicisti). Mi piace poter aiutare a recuperare musica che, in qualche modo, è parte di una tradizione, seppur dalla storia relativamente breve.
C’è anche il disco del Collettivo di Resistenza Culturale di Paolo Sanna ed Elia Casu con Angelo Contini ed altri artisti, il nuovo album in studio di Patrizia Oliva, poi il trio con Sergio Sorrentino, Luca Sigurtà e Simone Telandro, il disco del duo Tabozzivil, quello di Tiziano Milani, l’album di Travis Johns.
Sul versante dei concerti, un tour con il Crash Trio, cioè con Edoardo Marraffa e Chris Iemulo, in Olanda, Belgio e Londra, poi un tour sempre in Europa con Dominik Gawara e Mario Rechtern e altre gigs sparse con altri progetti, tra cui Camusi con Patrizia Oliva, poi Magimc in autunno, spero qualcosa esca fuori anche con Aghe Clope e Papiers Collés. Ma i tempi sono grigi e difficili, non è detto che si riuscirà a suonare come vorremmo. Speriamo bene. Per esempio sui dischi/concerti, Patrizia ed io abbiamo deciso come Camusi, di non pubblicare altri dischi oltre all’album omonimo del 2007, ma di tenere il duo solo per performance dal vivo, nonostante abbiamo almeno 20 concerti registrati, da cui sarebbe facile ricavarne degli estratti per un album. I tempi sono quelli che sono, nei momenti difficili la musica continua a vivere e il musicista si ricorda allora come si suona sotto le bombe della catastrofe. Speriamo bene.