(Sidecar / Goodfellas 2011)
Esistono dischi che più di altri si portano addosso il compito, oneroso quanto stimolante, di suscitare nell’ascoltatore una speciale magia evocativa e immaginifica. Dischi che recano tracce di un’atmosfera sfuggente quanto irresistibile, apparentemente muti ma celanti una bellezza da scoprire gradatamente.
È decisamente il caso di “Mi sposto”, seconda prova en solitaire di Francesco Giampaoli, solista e virtuoso delle corde – quattro o sei, prevalentemente acustiche – già nei ranghi di compagini dai timbri esoterici, come Nomades, Quartetto Klez, Sur, e qui pronto a cimentarsi con una dimensione polistrumentale, affiancato da un manipolo di professionisti di alto rango, tra cui spiccano Bruno Dorella, deus ex machina di Ronin e Bachi Da Pietra, e Antonio Gramentieri dei Sacri Cuori. Siamo di fronte a un lavoro di rara intensità, e ancor più di vivace stratificazione sonora. Interamente strumentale, il disco è un pregevole affresco di innumerevoli incastri musicali, suggestioni etniche che attecchiscono nei territori, ibridi e spuri, del jazz, del blues, di un rock mai così post e mai così intriso delle sue stesse radici novecentesche, quelle nere e terrigne. Un movimento incessante, consapevole, di raro vitalismo. Musica “visiva”, cinematografica, perfetta per la tentazione succosa di affiancarvi uno storyboard di immagini in itinere.
Uno spettacolo da circo sottomarino: così le note di Etac aprono le danze, tra archi dolenti subito zittiti da caracollanti percussioni, a creare una fanfara che svela la prima chiave di lettura: un continuo rimando tra accademia e ludico, tra tramonti western e giocolerie tipiche dell’universo dei Mariposa. E se la title track suggerisce movimento, di viaggi lunghi quanto il tempo si tratta: immaginate una spedizione di elefanti cui assistono, serafici e imperturbabili, un nugolo di musicanti popolari appenninici. Praticamente, la spedizione di Annibale da Cartagine lungo l’Italia, una delizia che ricorda il primo Mauro Pagani, ma con intenti tutt’altro che calligrafici. Chiaro chiama a raccolta i primi Tortoise per una session con Trilok Gurtu coinvolgente e serrata, mentre Porto è un madrigale dalla leggerezza lunare, quasi frippiana, dolcissima ninna nanna minimalista giocata sui toni cristallini di una tromba che sembra spifferare bolle di sapone. L’atmosfera vira decisamente colore in Fine, bellissima, oscura e inquieta, umbratile e al contempo elegiaca, vicina alla sontuosità western della premiata ditta Nick Cave & Warren Ellis, ma ancorata a terra da fulminee zampate degne di Marc Ribot. Il divertito serraglio sonoro di Specchio ci conduce spudoratamente tra i ritmi latini, prima che le atmosfere jazzy prendano il sopravvento, tra bettole fumose e occhiate sghembe, nelle tracce conclusive del disco, tra cui spicca la lunga, ipnotica e labirintica Oscuro, venata da periferiche elettroniche. Tradizione e avanguardia, barocchismi e sottrazioni: solo una raffinata intelligenza musicale, come dimostra di avere Francesco Giampaoli, poteva vestire un abusato e malinconico standard come Besame mucho in un discreto ed elegante commiato.
Il perfetto end credits a un film che speriamo abbiamo presto il degno seguito.
Voto: 8
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Autore: sal.passaretta@gmail.com