Nasce la nuova rubrica: Chi fa da se fa per tre. Un breve editoriale di presentazione e la prima intervista con Paolo Spaccamonti
Di Marco Paolucci foto in home page di Antonetta Lagrande
10/05/2012: Breve editoriale di presentazione: dopo un periodo di riflessione ho deciso di creare una nuova sottocategoria/rubrica nella sezione interviste: come la precedente Quattro Chiacchiere Digitali che fa riferimento soprattutto ad etichette e a band musicali, ho deciso di creare la sottocategoria/rubrica intitolata Chi fa da sé fa per tre. Questa sarà incentrata per questo primo periodo di sperimentazione esclusivamente su interviste ad artisti che prediligono o hanno prediletto vivere il loro essere musicisti in maniera autonoma, solisti nella definizione più accentuata, che chiaramente possono accompagnarsi nel corso della loro attività con un numero imprecisato di collaboratori ma che principalmente e in maniera precipua tendono a far uscire le loro produzioni in completa autonomia, possiamo dire solitudine, creativa. Da qui il titolo della sottocategoria/rubrica. L’impostazione dell’intervista comprenderà una serie di domande più o meno standard nel numero e negli argomenti trattati; cercherò chiaramente, per quanto sia possibile, di adattarle all’artista che mano mano mi troverò ad intervistare, cercando di instaurare con chi mi risponde un dialogo costruttivo per entrambi, per me che voglio farlo conoscere meglio e per lui che vuole farsi conoscere meglio. L’inaugurazione di questa nuova “deviazione” di Kathodik spetta a Paolo Spaccamonti, chitarrista che ritrova a suo agio nella scena improvvisativa in solitaria ma che riesce con disinvoltura a dialogare proficuamente anche con altri media. A voi il risultato di questa prima volta di Chi fa da sé fa per tre:
1. Quali sono le tue origini come musicista? In particolare come è nata l’idea di suonare la chitarra? Perché hai scelto questo strumento?
(foto di Bruben) La chitarra è stato il mezzo più comodo ed economico per iniziare oltre ad essere lo strumento popolare per eccellenza, dall’approccio più “semplice”, a differenza ad esempio di strumenti a fiato o ad arco che richiedono una disciplina d’acciaio. Col tempo ho fatto poi di necessità virtù anche se non mi considero un chitarrista tout court; il matrimonio poteva avvenire anche con altri strumenti.
2. Come nascono i tuoi brani? A chi ti ispiri quando componi? Quali sono i tuoi “cattivi maestri”?
Sicuramente l’urgenza prevale anche se ad oggi non lo so ancora. Suonare mi fa stare bene e quando nasce un nuovo brano è festa grande. A volte un’idea arriva e basta, si tratta poi di levigarla. Altre volte è come domare un cavallo selvaggio ed uscirne vivi è un mezzo miracolo… altre ancora capita di svegliarsi con un motivetto in testa che aspetta solo di esser trascritto. Non credo poi di ispirarmi a nessuno in particolare, ascolto molta musica e continuo ad appassionarmene. Sicuramente alcuni ascolti vengono poi inconsciamente filtrati e riportati sui propri lavori ma credo che succeda a tutti i musicisti, è normale. In fondo non credo di inventare nulla, mi limito a trascrivere angosce e gioie quotidiane.
3. Ascoltando i tuoi album e leggendo di rimando la tua biografia l’impressione che ne viene, comprovata dalle tue collaborazioni, è che tu abbia uno stile fortemente evocativo nel senso cinematografico, con rimandi a autori visionari come ad esempio David Lynch. Mi spiego meglio, i tuoi brani nel loro sviluppo creano nell’ascoltatore uno stato di progressiva inquietudine che non si disvela mai totalmente, lasciando una sorta di ricordo fantasma che aleggia anche dopo che tu hai concluso il brano. Che ne pensi, condividi questa interpretazione del tuo stile chitarristico?
Grazie per quello che credo sia un bel complimento. Il termine musica evocativa torna spesso nelle mie recensioni e mi piace. Posso dirti che non è assolutamente voluto (magari sapessi come si fa) ma se riesco a proiettare alcuni ascoltatori in un mondo altro stuzzicandone l’immaginazione sono felice. Quello che dovrebbe fare, o almeno che mi piace ritrovare nella musica strumentale è proprio questo, se no è solo noia e non c’è peggior cosa di un disco strumentale noioso. Se poi il “ricordo fantasma” va in delay trascinandosi anche dopo la chiusura del brano, tanto meglio!
4. Come è nata l’idea di far uscire il tuo disco ‘Buone notizie’ in vinile? Pensi che rimarrà un’esperienza isolata o avrà un prosieguo con i tuoi nuovi lavori?
In realtà doveva già uscire l’anno scorso con un’altra etichetta ma al momento della stampa il pessimo personaggio che la gestisce è letteralmente sparito. Per fortuna i ragazzi (grandissimi) di Smartz Records ed Escape From Today si sono appassionati al progetto ed ecco il vinile. Al di là dell’innegabile moda del momento penso sia davvero il supporto perfetto per resa sonora, packaging, estetica etc… e negli ultimi anni ha ripreso giustamente quota. E poi i duri e puri vogliono il “padellone”, poche storie. Ovviamente spero di produrre ancora dischi in entrambi i formati, ma se fossi costretto a sceglierne uno sceglierei vinile.
5. Nel tuo passato e recente presente hai collaborato con chi?Come ti sei trovato? Prevedi nel tuo futuro musicale la creazione di una formazione allargata?
(foto di Bruben) Ho collaborato e collaboro tutt’ora con diverse realtà, dall’ormai conclusa esperienza dei Reading Mohicani con Maurizio Blatto e Fabrizio M. Palumbo, al progetto solista FELPA di Daniele Carretti degli Offlaga Disco Pax passando per i progetti d’improvvisazione aperta Dub Pigeon, Paper Tiger Trio e i più recenti Gemini Excerpt dei due Namb Davide Tomat e Gabriele Ottino. Collaborare è sempre stimolante e ti permette di non fossilizzarti troppo su te stesso. Per quanto riguarda i miei due lavori (specialmente in ‘Buone Notizie’) ho avuto la fortuna di poter contare su diversi musicisti/amici che amo, da Daniele Brusaschetto a Ramon Moro e Dario Bruna dei 3QuietMen, passando per Davide Compagnoni, Marco Piccirillo ed Ezra fino a Julia Kent (Anthony and the Johnsons) e Fabrizio Modonese Palumbo (Larsen, Blind Cave Salamander, R). Inutile dire che mi son trovato benissimo con ognuno di loro essendo professionisti veri. Ovviamente mi piacerebbe molto girare con una band allargata, alcuni concerti di presentazione del disco sono avvenuti proprio con una band che comprendeva Ramon Moro alla tromba, Dario Bruna alla batteria e Marco Piccirillo al contrabbasso. Con loro, oltre alla data ufficiale di presentazione del disco al Blah Blah di Torino ho aperto il concerto di Anna Calvi allo Spaziale Festival 2011 e quello delle Luci della Centrale Elettrica al Nuvolari di Cuneo. Entrambi i live sono andati benissimo e sarebbe stato fantastico proseguire su quella strada ma non è per nulla semplice “spostare” quattro persone. E non posso di certo chiedere a dei professionisti di seguirmi in “tour” se non ci sono le condizioni economiche. Preferisco andar da solo o in duo sperando di gettare le basi per un futuro allargato. Senza contare la concorrenza spietata di chi ha spalle ben “coperte”. Vedremo.
6. Con chi vorresti collaborare?
Warren Ellis.
7. Come vedi la scena improvvisativa italiana a livello di rapporti umani, professionali?
Non riesco molto a ragionare in termini di scena e a dirla tutta conosco poco la scena improvvisativa di cui parli. Detto questo, al di là dell’auto-compiacimento sempre dietro l’angolo e dei vari avanguardisti da Bar dello Sport mi pare stia in salute. Girando un po’ il paese ho incrociato parecchi musicisti originali e talentuosi, gente che lavora perseguendo un proprio personalissimo linguaggio senza concedere nulla a nessuno (uno su tutti: Francesco ‘Trees Of Mint’ Serra). Con alcuni poi si instaura un bel rapporto d’amicizia a distanza ed è una fortuna potersi scambiare informazioni, dritte, vissuti o semplici opinioni su ciò che accade al di là del proprio cortile. Per il resto, non amo fossilizzarmi su un solo genere, che poi si rischia di finire in quei gironi finto trasandato occhiale+stivale… per l’amor di dio. Preferisco ascoltare diverse cose, anche molto pop.
8. Come vedi la scena internazionale a livello di rapporti umani, professionali?
(foto di Giorgio Pastorello) Non avendo mai suonato al di fuori della penisola dovrei basarmi su musicisti con cui ho condiviso il palco in qualità di opening act. Non so, magari suonerà provinciale, ma mi sembra che i forestieri stiano una spanna sopra. C’è più umiltà, non devono mostrarti i muscoli a tutti i costi. C’è più attenzione a ciò che fai sul palco, non importa da dove provenga. Ho avuto la fortuna di condividere il palco con Piano Magic, Xiu Xiu e Six Organce of Admittance ad esempio, ed il rapporto tra me e loro è stato sempre alla pari. Da musicista a musicista. Glen Johnson che a fine concerto mi chiede ragguagli su alcuni miei effetti, complimentandosi per il mio set e quasi scusandosi per la sua performance (a suo parere) sotto tono mi ha dato da pensare. Senza contare Julia Kent che accetta di suonare nel mio disco senza batter ciglio. “Siamo musicisti che si stimano” mi diceva, “è normale collaborare”. Julia Kent.
9. Progetti futuri?
A marzo ho registrato un disco con il ‘temibile’ duo Mombu di Luca T. Mai degli Zu e Antonio Zitarelli dei Neo. Musicisti pazzeschi. ll progetto in questione (‘In the Kennel’) è parecchio interessante e consiste nel ‘rinchiudere’ due band in studio per un paio di giorni, centrifugarli per bene e registrare il tutto, sulla falsariga delle mitiche “In the Fishtank”. Sono state 48 ore molto prolifiche, e si spera che il disco esca entro l’estate. Moolto Doom. Un sogno coronato. Poi, con Stefano Pilia si pensava di far uscire uno split insieme. Sarebbe fantastico, lui è un grandissimo. Stessa cosa con Daniele Brusaschetto con cui ho registrato del materiale in duo, parecchio scuro e dronico. E poi ci saranno le presentazioni/reading del documentario ‘Vite da Recupero‘ di Enrico Verra e i live dub di Ezra. Spero che tutto questo possa vedere la luce al più presto. Nell’attesa, scrivo materiale nuovo.
Link: Paolo Spaccamonti sito: http://www.paolospaccamonti.com/
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