(Ultramarine Records 2011)
L’arte di Marcello Magliocchi, profuma di continuo
movimento.
Un libero viaggiatore (da circa quarant’anni), che ama
condivider la strada percorsa, ed i frutti carnosi che essa
offre.
Che conosce il silenzio, compagno di lunghi tratti, e
l’arte dell’approccio rispettoso, di ciò che non
c’appartiene.
Il ticchettio della pioggia, il crepitar del
fuoco.
Magliocchi assorbe e rilascia tutto questo.
Mi piace
immaginarlo, seduto di fronte ad un sasso/legno/coccio, in ascolto
profondo.
Esterno ed interno che s’accavallano.
Fra tempie e
mascella, con un leggero stridor di denti nel mezzo (mai
aggressivo).
Certo, il suo peregrinar fra suggestioni, lo rende
oggetto volante, difficilmente afferrabile.
Ma non è il
possesso ciò che conta, è la scia luminosa che
attraversa il cielo, l’interesse vero.
Percussionista, batterista,
improvvisatore e compositore istantaneo.
Si; ok.
Nomi, sigle,
termini e scatole vuote.
Adesivi sbiaditi appiccicati su di un
vecchio frigo.
Volete proprio saper, cosa contiene quest’opera?
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movimenti, registrati in presa diretta, nella torre di un castello in
provincia di Pistoia.
Ad esser sollecitate, le sculture
metallico/sonore di Andrea Dami.
Partch, Bertoia,
Z’ev, Polinesia, Micronesia, Indonesia, le invocazioni in
catene sudate, pietra contro pietra, fissate da Alan Lomax,
l’irresistibile, vitale contagio di Don Moye, più
avanti, nel tempo, le illuminazioni dei Test Dept (“Terra
Firma” e “Gododdin”), le sospensioni sacrali di
Hamza El Din, i battiti rurali che ci appartengono (da nord a
sud, da est ad ovest, altro che Padania e menate del genere).
Come
un verde olio appena spremuto.
Dal sapore forte, al quale noi,
pastorizzati da tempo, non siam più abituati.
Null’altro.
Come
pochi altri, in questa povera terra martoriata (Roberto Dani,
Stefano Giust, Paolo Sanna).
Rispetto profondo, per
ogni singolo istante.
Si chiama vita.
Voto: 8
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