(Macaco Recods 2012)
Ad avercene di cantanti che fanno canzoni su Dio in Italia, probabilmente diventerei credente. Scusate per questo sfogo, ma il modo in cui canta questa francese è così affascinante, che mi entusiasma allo stesso modo in cui mi entusiasmò vent’anni fa PJ Harvey.
L’accostamento non è casuale, perchè intanto le due artiste hanno in comune il produttore: John Parish, poi l’uso dell’autoharp ed infine il modo suadente di cantare. Se l’artista del Dorset ha lavorato in ogni album in maniera più solida, Cléo T in questo esordio mette di tutto, dalla ballata triste e straniante di I love me I love me not, all’intimismo lirico di Kingdom of smoke , passando per il burlesque di Song to the moon e la delicatezza di Someday my prince will come, fino agli arrangiamenti vagamente nervosi di Whistels in the night, che non sfigurerebbero in un disco di Nick Cave.
Parish fa un ottimo lavoro di cesellamento, riuscendo abilmente ad incastare e ad amalgamare tutti gli strumenti di cui l’artista ha bisogno, dal violoncello, al piano, dal theremin al contrabbasso, agli ottoni, alle chitarre, creando un sostrato sonoro alle filastrocche bucoliche ed evocative dei brani.
Voto: 8
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