(Prophecy Productions 2011)
Dopo una pausa durata sei lunghi anni, torna Anthony Wakeford (non che se ne fosse mai andato, in realtà, a parte dai Death in June tanti anni fa) a guidare i suoi Sol Invictus, lungo lo stesso percorso di folk apocalittico che tutti abbiamo ben apprezzato in piccoli classici come ‘Lex Talionis’.
Cosa sia lecito aspettarsi dal cinquantenne musicista a questo punto non saprei, ciò che è palese è che ‘Cruellest Month’ non convincerà nessuno ad ascoltare l’elegante folk deprimente del nostro. Sin dalle liriche, sempre polemicamente curate, siamo sui soliti argomenti cari a Tony: innocenza perduta, mali atavici della perfida Albione, metafore non tanto sottili e così via. Gli arrangiamenti, curati dalla solita gang di ospiti, sono naturalmente dominati da chitarre acustiche e strumenti a fiato, con qualche minimo inserimento di sintetizzatore qui e lì.
Il primo problema che ho con ‘Cruellest Month’ è la produzione: orrendamente barocca, zeppa d’inutili riverberi qui e lì manco fossimo in un album dei Toto e irrimediabilmente acuta. Vi giuro che manco con un subwoofer da 120watt sarà possibile tirar fuori un minimo di bassi da questo album. Forse una cosa del genere poteva andar bene per un album dream pop dei primi anni novanta (e della 4AD), ma per del folk del 2011 francamente, no.
Secondo poi, le canzoni sono francamente poco coinvolgenti, una deriva ben evidente negli ultimi lavori dei Sol e che diventa palese se andiamo sull’impietoso confronto con i loro tempi migliori. La voce di Wakeford non è migliorata con gli anni, poi, averla come punto focale non è che gli renda particolari favori. Quando arrivi all’unica traccia strumentale, April Rain, e ti viene voglia di eleggerla miglior pezzo dell’album, sai che c’è qualche problema. In realtà poi non è proprio così, anche The Bad Luck Bird e The Blackleg Miner mi son alquanto piaciute, ma identificare i singoli pezzi decenti non è il nucleo del mio articolo.
Il punto è che dai Sol Invictus si pretende giustamente qualcosa di più che un album così sbiadito, una vaga fotocopia dei bei tempi. Se tutt’ora gli And Also the Trees riescono a tirare fuori qualcosa di meraviglioso dal folk oscuro, direi che sarebbe più che giusto aspettarsi altrettanto da Wakeford. Su, caro ciccione, sveglia.
Voto: 6
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