Di Alessandro Colò
Odio le raccolte di racconti. Nella graduatoria delle pubblicazioni più irritanti si piazzano esattamente dopo i saggi newage-chic tipo Lo zen e l’arte di aggiustare il microonde e subito prima dei libri+dvd, direttamente sfornati in serie da “cabarettistiscrittori” di cui si tappezzano in loop le edicole a giugno di ogni anno, con l’unica differenza che la copertina l’anno seguente è più ingiallita e il prezzo è dimezzato.
Quindi tenterò di essere onesto cercando di evitare questa leggera idiosincrasia di genere letterario che potrebbe influenzare la mia obiettività, onestà che riconosco anche all’autore e che quindi per primo la merita. Già perché pur abusando di personaggi decadenti e autodistruttivi Pakarov evita di farlo in modo paraculo, giusto per suscitare i risolini del lettore e tirare avanti altre due pagine. No, i protagonisti dei racconti sono più una fedele rappresentazione della spirale etica odierna guardata senza ipocrisia piuttosto che delle macchiette artificiose.
Ogni capitolo ha come sfondo una città diversa, ma dall’ambientazione non emergono scenari da cartolina o simili agli ultimi, inguardabili, film di Woody Allen; emergono invece la grigia solitudine dei palazzoni dell’ex Unione Sovietica, l’intangibilità della metropoli multietnica e la polvere delle strade spagnole… perfetti sfondi per un’umanità senza futuro che si barcamena arrabattando la vita tra queste “location”.
Luca Pakarov ha talento – oltre ad un elegante uso linguistico riesce infatti ad essere anche estremamente evocativo -, un talento che in poche righe smuove i tuoi ricordi, proiettandoti in città che magari non hai mai visto ma di cui credi di conoscere bene il “sapore”, ti obbliga a ripensare ai tuoi viaggi, al ritorno dai quali parli sempre del monumento, della chiesa gotica, della spiaggia dorata, dell’accoglienza di un popolo, dell’hotel otto stelle, ma in realtà quello che lì per lì ti si è incagliato nella mente, o che almeno si è incagliato nella mia, è la puzza di piscio delle strade, i picchiatori da bar, le guide turistiche paracule, gli ubriaconi molesti e chi più ne ha più ne metta. Ecco, Pakarov descrive ciò che è e non ciò che vorresti che fosse, una guida a tratti ironica e senza veli al deserto (etico più che fisico) della civiltà odierna.
Non importa se si trova a descrivere le vicende di un’anziana signora che riscuote la pensione a Parigi oppure il fragoroso universo londinese, o a narrare le vicende di un ex-tossicomaneneanchetantoex costretto a peregrinare in Bosnia per festeggiare un capodanno, o a parlare di altri viaggi umani della durata di qualche pagina. Importa che Pakarov risulta sempre credibile anche grazie alla capacità di alternare stili di scrittura diversi in grado di adattarsi meglio alla trama che al momento vuole sviluppare.
A volte però, come i suoi personaggi, anche le sue storie s’incagliano in una spirale senza ritorno e in alcuni racconti è percepibile la sensazione che si stia girando a vuoto; magari ci viene presentata la quotidianità di un disadattato, e non ci sarebbe nulla di sconveniente in questo, se non si percepisse come l’impressione di trovarsi davanti al racconto di un novello Hunter Thompson. Un deja-vu, qualche reminiscenza, la sensazione di percorrere una strada già battuta. Gli scritti di Thompson però allora si sposavano perfettamente con gli ultimi singulti pseudorivoluzionari post flowerpower, ma oggi? Ha ancora un senso oggi? Probabilmente siamo passati per tanti “thompsonini” che non ci fanno sentire il bisogno di altri cloni, e questo vale ancor più per Pakarov che grazie alla lucida padronanza della lingua e alla capacità d’interpretazione dell’odierno potrebbe cimentarsi in battaglie ben più ambiziose.
Io, da parte mia, incrocio le dita sperando che il prossimo parto dell’autore non sia un’altra raccolta di racconti o qualcosa tipo Lo zen e l’arte di sintetizzare un acido. Se fossi un editore probabilmente lo incatenerei ad una sedia per costringerlo a scrivere un romanzo da almeno duecento pagine perché le poche righe di un racconto non possono bastare a contenere l’immaginario che riesce a costruire.
Link: Luca Pakarov, Pudding, evasioni low cost, Roma, Edizioni Clandestine, 2012