(Kendra Steiner Editions 2011)
Incrociar l’arte, del chitarrista/compositore/polistrumentista (e
fondatore della Pax Recordings)
Ernesto Diaz-Infante, è sempre faccenda, correlata con
una bruciante e visionaria tensione.
“Emilio”, edito
per la piccola label di San Antonio (Texas), fieramente Do It
Yourself, Kendra Steiner Editions (poesia contemporanea e
suoni di frontiera, fatevi un giro nel succoso catalogo), è un
perturbante viaggio, fuori e dentro il corpo di un bajo sexto
(chitarra tradizionale messicana a 12 corde, usata nel tex-mex), cui,
occasionalmente si aggiungono delle campane tibetane ed una tanpura
elettronica.
Opera ispirata e dedica affettuosa, nei confronti
dello scomparso zio, afflitto da disturbi psichiatrici (in continuo
via vai, dagli istituti di cura).
La cui figura, veniva spesso
utilizzata come ammonimento, da parte dei familiari, nei confronti
dell’autore (Finirai come lui!).
“Emilio”, è
storia spettrale.
Apparizioni che bisbigliano al limite del
comprensibile, chiedendoti una sigaretta da dietro una grata.
Luoghi
fatiscenti, dove la muffa cresce sulle pareti, è l’umidità
è una costante.
Corpi spesso estaticamente
immobili.
Impegnati nell’osservazione di un raggio di sole, che
filtra a fatica da una finestra sporca.
In cerca di pace, libertà,
una carezza.
Una tregua ad un’indicibile sofferenza.
Cupo,
ripetitivo, incespicante.
Un confine labile, dove par
d’intravedere movenze Bailey, ruminar alieno alla Hans
Reichel, mentre tutt’intorno, si spengono uno dopo l’altro,
risuonanti generatori No Wave.
Un’urticante riflessione sonica,
che esonda in un’osservazione panoramica feldmaniana, livida,
estenuata.
Non sfuggite a questo sentito omaggio.
Qui, regna la
vertigine.
Voto: 8
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