L’angolo del collezionista Parte 1

L’ABC del collezionismo in vinile spiegato e commentato

 

 

 

 

 

 

 

Di Stefano Gagliardini

sacredserenity@tin.it

                                                            Introduzione

Questo articolo nasce dall’interesse dell’autore per la musica in generale e per il supporto vinilico in particolare; all’interno verranno illustrate le nozioni, quelle basilari, che permettono ai collezionisti di riconoscere le prime stampe in vinile dalle ristampe e, anche, dalle numerose versioni “bootleg” (riproduzioni, di qualità audio pessima, non ufficiali e non autorizzate dagli artisti e dalle case discografiche) che purtroppo infestano sempre di più il mercato, specialmente quello on-line. E’ bene precisare che non vi è alcuna pretesa di esaustività, in un ambito come quello che andremo a trattare sconfinato e assolutamente mutabile in base al gusto individuale, lasciando al lettore, qualora ne fosse interessato, il compito di sviluppare i dovuti approfondimenti.

Diciamo subito che per quanto riguarda le quotazioni (il sito più utilizzato a questo proposito è popsike.com), la logica che le governa dipende da diversi fattori: in primo luogo la qualità del pressaggio del vinile è importante quasi quanto la rarità; quindi, ad esempio le stampe giapponesi hanno una valutazione piuttosto alta in quanto abbinata ad una cura maniacale sia nella fase di stampaggio che di confezionamento: sono dotate di più inserti rispetto alle altre versioni del resto del mondo, di una qualità del vinile superiore con una resa sonora di livello audiofilo ed anche la carta con cui sono realizzate le copertine, adornate con il caratteristico OBI, ha degli standard elevati. In secondo luogo, generalmente, le stampe che hanno una quotazione maggiore sono quelle appartenenti alla cosiddetta “discografia ufficiale” dell’artista in questione, dove con tale terminologia si intende la versione vinilica stampata nel Paese di provenienza del musicista (o gruppo). Scendendo più nel dettaglio, possiamo affermare che quello che il collezionista ricerca realmente e a cui dedica la massima attenzione è l’etichetta di stampa.

 

     CAPITOLO UNO: la prima stampa: una questione… di etichetta.

 

Parte prima: le stampe americane.

 

Con il termine “etichetta” (o label) il collezionista si riferisce allo strato superficiale cartaceo di forma rotonda, situato al centro del vinile intorno al foro, impresso a caldo durante la fase di stampaggio, da cui si possono ottenere molte informazioni a partire dal nome della casa discografica. Quello che interessa maggiormente è che in base al suo design possiamo risalire al periodo di stampa; a questo proposito un ottimo punto di riferimento per i collezionisti è il sito VinylBeat.com.

Scorrendo, ad esempio, la voce Atlantic possiamo stabilire che una stampa americana di “Led Zeppelin II” (pubblicato dalla  Atlantic, appunto) che sull’etichetta riporta l’indirizzo “73 Rockefeller Plaza” non potrà mai essere una prima stampa in quanto tale recapito è comparso per la prima volta sulle etichette della  Atlantic solo nel 1974. Nel 1969 invece, anno di uscita sul mercato del secondo album dei Led Zeppelin, come possiamo vedere l’indirizzo stampato era “1841 Broadway”; un’altra informazione molto utile che possiamo apprendere da questo sito è che il caratteristico logo “W” (Warner Bros.) è comparso per la prima volta sulle etichette Atlantic nel 1975. Ovviamente, ma non a caso, le versioni più facilmente reperibili di questo celebre album sono proprio quelle che riportano l’indirizzo “73 Rockefeller Plaza” e il logo della Warner molto più inflazionate della prima stampa .

 

 

 

 

 

Le iniziali di Robert Ludwig, incise sul trail-off della prima stampa originale americana del secondo album dei Led Zeppelin, marchiano la sua eccezionale masterizzazione conosciuta dai collezionisti come “Hot Mix”

 

E’ bene sottolineare che il link menzionato elenca cronologicamente soltanto le etichette pressate negli USA ma, tenendo presente che le maggiori label sono nate proprio negli Stati Uniti (come Elektra, Atlantic, Warner Bros., Columbia solo per citare alcune delle più famose) e che avevano anche sedi dislocate all’estero, spesso veniva utilizzato lo stesso tipo di etichetta per lo stesso arco temporale rispetto a quanto accadeva in America, anche in Stati esteri. Semmai poteva accadere che in un altro Paese il medesimo disegno fosse stampato anche per un periodo successivo; quindi, il discorso appena fatto può essere tenuto in considerazione per parecchie stampe anche al di fuori dei confini americani; facciamo un esempio a tal proposito: una stampa inglese di “Forever Changes” (pubblicato originariamente dalla Elektra nel 1967) dei Love che abbia il famoso “Butterfly logo” non potrà mai essere una prima stampa inglese, in quanto tale design è stato introdotto dalla Elektra solo nel 1970: vedere la voce Elektra. D’altro canto, un caso molto conosciuto di artwork che è stato utilizzato per un periodo più lungo rispetto agli USA, è rappresentato dall’album “Fun House” degli Stooges (Elektra 1970) nella sua prima uscita tedesca. Come possiamo vedere sempre alla voce Elektra mentre in quell’anno la Elektra introduceva negli Stati Uniti il “Butterfly logo” (infatti la prima stampa americana del disco ha proprio quel design in Germania continuava ad uscire sul mercato una etichetta precedente; la prima stampa tedesca dell’album, infatti, si presenta come da foto. E’ di fondamentale importanza, comunque, tenere presente che soprattutto per le stampe inglesi si verificava spesso che la stessa casa discografica facesse uso di etichette diverse rispetto a quelle in vigore negli Stati Uniti in riferimento allo stesso arco temporale e alla stampa del medesimo album; purtroppo ad oggi l’autore non è in grado di fornire un link di riferimento per la cronologia delle label inglesi che sia comparabile con il lavoro svolto da VinylBeat.com rispetto alle etichette americane.

 

Seconda parte: le stampe inglesi.

 

Le stampe inglesi sono una preda molto ambita dai collezionisti, per diversi motivi: innanzitutto per la loro qualità, seconda soltanto alle versioni giapponesi; venivano inoltre stampate in minor numero rispetto a quanto avveniva oltre oceano, quindi sono molto più rare; infine, alcune etichette sono ricercatissime in quanto stampate per la prima volta e con quel particolare design proprio in Gran Bretagna: gli esempi più famosi sono la “Pink” Island e la Vertigo “Swirl”.

La Island nel suo peculiare design di colore rosa, o “Pink” Island del terzo tipo, è estremamente rara in quanto pressata in Inghilterra per un periodo molto breve: dall’autunno del 1969 all’autunno del 1970; fu poi soppiantata dalla versione “Pink Rim” (anche denominata “Palm Tree label”). Anche per questa etichetta, possiamo notare che al di fuori del Regno Unito la sua longevità è stata maggiore:

 

La prima stampa venezuelana  di “Shoot out at the fantasy factory” (pubblicato in Gran Bretagna dalla Island) dei Traffic può ancora fregiarsi, nel 1973, della leggendaria etichetta rosa.  

Per quanto riguarda l’altrettanto celebre Vertigo “Swirl”, anch’essa in Gran Bretagna ebbe una vita piuttosto breve: fu infatti utilizzata dall’autunno del 1969 (periodo della sua comparsa sul mercato discografico) fino al 1973, anche se, in altri Stati il suo pressaggio ha continuato per molti anni a venire.

 

La prima stampa originale europea di provenienza olandese del “Black Album” dei Metallica (pubblicato nel 1991) dimostra che l’etichetta Vertigo “spirale” dopo tanti anni dalla sua prima apparizione non è affatto caduta in disuso.

A proposito della Vertigo “spirale”, può essere utile ricordare che ne esistono svariati bootleg; sono comunque riconoscibili dal fatto che i numeri di matrice che compaiono sul trail-off non sono apposti con la pressa (come sempre avveniva nelle versioni ufficiali) ma sono altresì incisi con penna ottica (“hand-etched”).

Le stampe inglesi costituiscono un’ottima palestra per i collezionisti alle prime armi, poiché sono ricche di dettagli che abituano ad una analisi attenta soprattutto chi è particolarmente interessato a risalire alla prima tiratura di un determinato album. Per comprendere appieno quanto verrà tra breve esposto, occorre fare un cenno al procedimento di stampa dei vinili: il contenuto del master-tape, termine con cui si indicava il nastro su cui l’artista aveva registrato i brani, veniva riversato, tramite un procedimento chiamato “lacquer-cutting” e tramite una apposita strumentazione attraverso la quale era anche possibile agire a livello di equalizzazione, su un supporto denominato “lacca” (o lacquer o acetato); successivamente la lacca veniva rivestita da uno strato di nichel. Quest’ultimo, una volta separato dalla lacca, ne riproduceva l’immagine “negativa” (speculare), ovvero le due matrici (una per lato) che ricevevano a loro volta un procedimento di placcatura, dando origine alla piastra madre che generava infine gli stamper; questi, una volta montati sulle presse, stampavano materialmente i vinili per la distribuzione. Il lacquer, essendo di per sè composto di materiale estremamente delicato, si danneggia  quasi sempre durante il procedimento di estrazione della prima matrice divenendo inutilizzabile per eventuali scopi futuri: per poter ricavare le matrici successive alla prima, si rende quindi necessaria la scrittura di altri acetati. La matrice, invece, essendo  composta di materiale metallico, è molto meno deteriorabile, e da ogni singola matrice è possibile estrarre solitamente una decina di madri prima che inizi a deteriorarsi; dalle madri si può arrivare a dare origine ad un numero considerevole di stamper arrivando quindi alla produzione di molte decine di migliaia di copie a partire dal medesimo lacquer. Per consentire a Paesi esteri il pressaggio del disco, a volte veniva loro inviato direttamente o un set di acetati oppure, più frequentemente, un set di madri o stamper già ricavati, ma mai il master-tape originale che restava gelosamente custodito dalle case discografiche (ecco qui spiegato il motivo della maggior quotazione, generalmente, dei vinili appartenenti alla “discografia ufficiale” cui si faceva riferimento in precedenza).

 

Vediamo ora, con un esempio pratico, come distinguere una prima stampa inglese in mezzo alle altre: a tale scopo, ci possiamo servire della famosa etichetta nera e gialla (per scoprire il design in uso presso una determinata casa discografica nell’anno di stampa dell’album che ci interessa, oramai basta fare una veloce ricerca sul web) di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” targata Parlophone. Diciamo innanzitutto che i vinili inglesi siglati Parlophone, tra il 1965 e il 1969, riportavano sull’etichetta la scritta “The Gramophone Co. Ltd….” lungo il perimetro, e la scritta “Sold in UK….” in orizzontale poco al di sopra del foro centrale; avevano inoltre il codice “KT” (King Tax, era una tassazione in vigore all’epoca) in rilievo accanto al foro centrale, anche se difficilmente visibile se non con la dovuta angolazione di luce. Analizzando il dead-wax (o trail-off o run-out-area, ovvero lo spazio compreso tra l’ultimo solco inciso del disco e l’etichetta), constateremo che si rivelerà una vera e propria miniera di informazioni: con l’ausilio di questa foto e immaginando il dead-wax, essendo di forma circolare, come fosse un orologio, a ore 6 (nella foto lo spazio indicato con la lettera A) troviamo inciso il numero di matrice: nel caso di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” nella sua versione in stereo magari potremmo avere la buona sorte di leggere “YEX 637-1” sul lato A e “YEX 638-1” sul lato B; proprio il numero “1” ci indica che siamo in presenza della prima matrice di stampa di entrambi i lati. Proseguendo nell’analisi, a ore 9 ( il punto indicato con la lettera “B” nella foto) troveremo inciso un numero, e questa volta si tratta del numero seriale riferito alla “madre” di stampa; a ore 3 (il punto indicato con la lettera “C”) vi sono una o più lettere (in tal caso venivano apposte verticalmente) che indicano, in progressione, il numero dello “stamper”; per risalire a quest’ultimo, nel caso dei vinili Parlophone (ogni casa discografica utilizzava un suo codice, ma quello che conta in questa sede è assimilare il meccanismo del ragionamento) bisogna seguire la seguente logica: le lettere che potremo trovare sono solo e soltanto una o più tra  queste: G R A M O P H L T D (per inciso, la Gramophone Co. Ltd. era la Compagnia di registrazione cui faceva capo la Parlophone) dove alla lettera G corrisponde il numero 1, alla lettera R corrisponde il numero 2 e così via fino alla D a cui corrisponde il numero zero; quindi, in presenza ad esempio delle lettere “AL”, si tratta del trentottesimo stamper. Il collezionista più maniacale considererà prima stampa soltanto il vinile contrassegnato dalla prima matrice su entrambi i lati, dalla prima madre su entrambi i lati, e dalla lettera “G” su entrambi i lati (di copie che presentassero contemporaneamente tutte e tre queste caratteristiche ne venivano stampate circa un migliaio, fino alla sostituzione del primo stamper).

Va comunque tenuto presente che non era infrequente il caso in cui alcune matrici non venissero utilizzate per dare origine a vinili destinati alla vendita: ad esempio, in base alle informazioni in possesso dell’autore la prima stampa inglese di “Wish you were here” dei Pink Floyd ha matrice A1//B3. Non furono messe in commercio delle copie con matrice A1//B1 o A1//B2 perché le prime due matrici adoperate per il pressaggio del secondo lato del disco furono usate come test-pressing, oppure non soddisfacevano determinati standard qualitativi.

  

                                                            Terza parte: Le stampe italiane

 

Diciamo subito che le stampe italiane spesso non brillavano né per qualità di incisione, né per l’attenzione con cui venivano stampate le copertine: giusto per fare un esempio, è pressoché impossibile trovare una copia di “Felona e Sorona” delle Orme la cui copertina, peraltro una rappresentazione grafica meravigliosa, non presenti delle imperfezioni a livello di laminatura; ciò nonostante, molti vinili italiani sono tra i più costosi e ricercati: basti pensare al settore del progressive-rock anni ’70.

Per contro, il dead-wax dei vinili impressi in Italia aveva il pregio, molto frequentemente, di riportare per esteso la data (giorno-mese-anno) di incisione sia del lato A sia del lato B: cosa che, come si può facilmente comprendere, agevola non poco il riconoscimento della prima stampa. A questo fine il collezionista ha anche un altro strumento a sua disposizione: il timbro SIAE; infatti, dalla forma e dimensione di quest’ultimo, variate entrambe nel corso del tempo, si riesce a risalire al periodo di stampa di un determinato disco.

La Società Italiana degli Autori ed Editori è l’ente competente nel territorio italiano per la tutela dei diritti d’autore; prima della comparsa del marchio SIAE, i dischi italiani riportavano, stampata sull’etichetta, la sigla BIEM; quest’ultima, intorno alla fine degli anni ’60, è stata sostituita dalla sigla DR (Diritti Riservati). A partire dal 1970, la scritta “SIAE” in un primo tempo veniva direttamente stampata sulle etichette, poi apposta manualmente con un timbro rotondo. Ci sono state tre tipologie di timbro SIAE:

      il primo aveva un diametro di circa 13/13.5 millimetri e poteva essere di diversi colori; all’interno del cerchio più piccolo riportava la scritta “SIAE” e all’interno del cerchio più grande la scritta “SOCIETA’ ITALIANA DEGLI AUTORI ED EDITORI ROMA” (tutto in maiuscolo); venne utilizzato dalla fine del 1969 agli inizi del 1975.

      il secondo tipo era di dimensioni maggiori rispetto al precedente (circa 15 millimetri), la scritta “SIAE” centrale è identica alla precedente, ma poteva a volte presentare una stella alla sinistra della lettera “S”. La “S” della parola “SOCIETA’” è scritta in maniera speculare e la “A” della parola “aUTORI” è minuscola; questo modello fu usato tra il 1975 e il 1978.

      il terzo tipo sarebbe identico al secondo, se non fosse che la scritta “SIAE” non occupava più l’intero cerchio centrale, lasciando uno spazio sottostante che sovente conteneva un numero; questo timbro fu utilizzato dalla fine del 1978 fino al 1996, anno in cui è stato rimpiazzato da degli adesivi.

 

Le tre diverse tipologie di timbri a confonto: da sinistra a destra, il più lontano nel tempo e il più recente:

Un’altra caratteristica che spesso possiamo riscontrare nelle stampe italiane, è il logo della Warner Bros. stampato sull’etichetta, in abbinamento al numero del codice catalogo dell’album preceduto dalla lettera “W”. In questi casi ci troviamo per forza di cose in presenza di pressaggi avvenuti dal 1975 in poi; il logo della Warner, infatti, veniva apposto dalla WEA italiana; quest’ultima, emanazione del Gruppo WEA americano, era un’etichetta discografica, costituita nel 1975 appunto, che pubblicava e distribuiva in Italia sia il catalogo delle tre major americane Warner, Elektra e Atlantic (la sigla WEA è l’acronimo di queste tre industrie discografiche) sia i dischi degli artisti italiani che aveva sotto contratto. Ne consegue che tutti i vinili stampati in Italia di artisti (italiani o stranieri) facenti capo alle tre case discografiche menzionate (e alle loro sotto-etichette oltre alla WEA stessa), erano marchiati con la “W” sia sulla copertina (tranne rare eccezioni) sia sulla label (sempre).

 

Una stampa italiana di “Led Zeppelin IV” che presenta sia il logo Warner in basso a ore 6 all’interno dell’etichetta, sia la lettera “W” prima del numero di catalogo: in base alle nozioni esposte, essendo l’album uscito nel 1971, evidentemente non siamo in presenza di una prima stampa italiana.

 

Il sito Discogs.org è molto divertente da consultare per chi volesse dare un’occhiata a quante stampe diverse sono state messe in commercio di un determinato album; per motivi facilmente comprensibili, data l’immane mole di dati, non si può pretendere che sia completo né che sia privo di errori. D’altronde può rivelarsi molto utile nel segnalarci qualche versione bootleg o preziose informazioni di altro genere.

“La musica, va ascoltata un lato per volta”

 

Questo articolo è dedicato alla memoria di George Marino (1947-2012)

Ringraziamenti (special thanks to):

 

http://www.vinylbeat.com/

http://www.vertigoswirl.com/

http://www.yokono.co.uk/

http://digilander.libero.it/pinkside

http://www.svenner.com/

http://www.discogs.com/

http://www.popsike.com/

La ricerca riguardante i marchi SIAE è stata curata da Augusto Rossi (dicembre 2000) e integrata da Stefano Tarquini (marzo 2001). Ultimi aggiornamenti (2006) a cura di Maurizio Fulvi e Augusto Croce (http://www.italianprog.it).
Si ringrazia Augusto Croce per l’immagine, gentilmente concessaci, delle tre tipologie di timbri SIAE a confronto.
Per approfondimenti (redatti da Stefano Tarquini, Nino Gatti, Paolo Montevecchi e Augusto Croce) circa le date impresse sui vinili, si consiglia di fare riferimento a:
http://digilander.libero.it/pinkside/i_marchi_della_s_i_a_e_.htm

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