Quarta puntata della rubrica Chi fa da sè fa per tre: Keiko Higuchi.
Di Marco Paolucci Foto in home page di Hiroshi Manaka (tiimu)
10/11/2012: Keiko Higuchi è una musicista giapponese che ama sperimentare con la voce, e nella sua rilettura dei classici, ha uno stile che rimanda da Patty Smith a Diamanda Galas. Sia nella dimensione dal vivo che su disco riesce in ogni sua prova a dare il senso dell’impegno e della passione che naturalmente mette nel suonare e nel cantare. Dopo averla vista esibirsi dal vivo e averne parlato qui, il vostro Kathodik Man ha pensato che sarebbe stata perfetta per la rubrica Chi fa da sé fa per tre. Detto fatto improntate ed inviate le domande la nostra si è mostrata “fluvialmente” disponibile a rispondere, come potrete leggere da voi. Un ringraziamento va a Filippo Focosi per la revisione della traduzione. Ultima cosa: questa intervista la potete leggere anche in inglese qui.
1. Quali sono le tue origini come musicista? In particolare come è nata l’idea di suonare il pianoforte? Perché hai scelto questo strumento?
(foto di Masae)Mi piaceva cantare quando ero bambina, ero nella scuola elementare, penso che fosse il terzo anno, quando ho iniziato a prendere lezioni di tastiera da una signora nel mio vicinato, che era anche una pilota di gara. Tempo dopo sono andata negli Stati Uniti all’età di 15 anni, e ho iniziato a prendere lezioni di canto verso i 16 anni. Nel contempo stavo prendendo qualche lezione di piano e simili nella scuola e fuori della scuola. Sono stata in un college di musica ma non penso che questo mi abbia aiutato a creare il modo in cui attualmente suono. Sono stata in questo college per un anno e poi comunque l’ho abbandonato. Quando ho iniziato a far parte di una band chiamata Saturnalia, a Boston, io ero alla voce e mi occupavo dei movimenti; talvolta suonavo alcuni giocattoli e oggetti. Poi ho iniziato a dilettarmi anche al trombone. Quindi, sì, sto usando la mia voce come strumento principale ma non mi sono mai considerata una vera e propria cantante o una vera pianista. Talvolta ho anche preso alcune lezioni di movimento e di tecniche di estensione vocale, perfino attraverso lo studio con attori teatrali, e dopo essere tornata in Giappone nel ’98 ho avuto la possibilità di lavorare con un danzatore di Butoh, il che mi ha spinto a iniziare seriamente a lavorare anche con il mio corpo. Durante questi anni ho continuato a cantare canzoni al pianoforte, anche quando ho deciso di dedicarmi alla libera improvvisazione vocale, e quindi mi viene naturale cantare in questo modo (se ti stai riferendo al mio lavoro di solo piano/voce)
2. A chi ti ispiri quando componi? Quali sono i tuoi “cattivi maestri”?
Non penso di creare vere e proprie composizioni. Non ancora, almeno. Io lavoro sulla mia improvvisazione e su altre cose, non mi sento portata alla composizione. Quindi, a tal riguardo, non mi considererei mai una cantautrice. Potrei dire che studio o analizzo alcuni stili o forme, e credo di non essere male come arrangiatrice, ma non sono poi così interessata a definire il modo in cui faccio musica. I miei arrangiamenti di alcuni motivi sono molto differenti dagli originali; il che si avvicina al vero senso della parola “arrangiamento”. Io deformo, scompongo e ricostruisco (sembra che queste parole siano state abusate, ed io odio usarle) le canzoni in qualcos’altro, oppure semplicemente improvviso e ne viene fuori qualcosa di nuovo. Ma, ribadisco, non penso che questo possa essere assimilato a qualcosa come “comporre”.
3. Segui qualche metodo particolare quando componi?
(foto di Max) Ancora mi scuso, ma non seguo nulla in particolare perché non ho un metodo preciso, il processo è simile a quello che faccio con l’improvvisazione. Seguo semplicemente ciò che mi piace e mi si confà, e se questa cosa funziona, funziona. La differenza dal mio modo di lavorare con l’improvvisazione è che se una canzone non funziona, ci metterò altri 10 anni per svilupparla. C’è qualche cover a cui ho lavorato per 10 anni e finalmente ho deciso di suonarla. Ci sono pezzi come questo. Quando faccio delle cover, seguo le parole, certo, o meglio, il loro suono. Scelgo come pronunciare una parola, quali note suggerisce, con che accordo accompagnarla, e vado avanti così, senza saperne il motivo. Ci sono anche momenti in cui scrivo le parole e dopo inserisco le note, oppure canto e mi sento ispirata a suonare questo accordo oppure quest’altro alla tastiera. Ma a volte sono impegnata dai registri medi e bassi e quindi uso i miei piedi per suonare i registri alti. Anche nelle fasi di training, lavoro con il corpo, con i flussi di energia, e quindi utilizzo tutti questi elementi, insieme a ogni tipo di emozione, per creare qualcosa che chiamo “amore”.
4. Sembra che nei tuoi concerti tu cerchi di superare la tradizionale forma esecutore rivolto ad un pubblico, ma mostri anche una tua ricerca. Cosa ti porta a questa forma di, diciamo, concerto performance? E’ solo una mia impressione o condividi questa visione?
Non è che io provi a mostrare qualcosa di particolare per incrementare il senso di una canzone. Faccio certi movimenti solo perché questo aiuta la mia voce a venire fuori nel modo che voglio io. Oppure seguo l’impulso, lo faccio solo perché voglio farlo. In tali occasioni (soprattutto solistiche), quindi, non assumo una posa né mi atteggio; mentre se si tratta di una performance che coinvolge oltre me anche altre persone, in questo caso i miei movimenti possono essere più concettuali o coreografati.
5. Hai registrato i tuoi album in solitaria, in duo, in trio. Si nota una tua capacità di interazione con altri musicisti, ma alla fine quale modello ti piace?
(foto di Valentina Seri) Ogni formazione esprime una particolare visione della cose, e affronta temi e questioni differenti. Non so quale sia la mia favorita. Si tratta di differenti modi di lavorare alle cose. Nei lavori solistici, penso molto all’amore delle e per le donne, al potere delle donne. Io non sono una femminista, ma sto lottando perché la donna diventi una super-donna. Quando collaboro con altri artisti, lavoro a qualcosa che può venire fuori dalla mia reazione o dalla mia non reazione, di cui posso o meno essere consapevole. Mi occupo cioè di come un suono possa venir fuori, scomparire, essere mantenuto o modificato. Ma il fatto è che è “più facile” lavorare in un contesto definito, ovvero con una partitura. Quando c’è una composizione, so che devo semplicemente migliorarla. Quando improvvisiamo, la cosa non riguarda solo me, e anche quando mi guardo indietro e vedo le cose che ho assorbito, mi rendo conto che ci vuole tempo per digerire le cose… si tratta di modi di procedere differenti, per l’appunto…
6.Con chi vorresti collaborare?
Direi che è molto meglio suonare con qualcuno con cui sei in sintonia, o anche con qualcuno che può sorprendermi. Chiaramente, ci si deve comprendere a vicenda, quindi anch’io sorprendere chi collabora con me.
7. Come vedi la scena musicale giapponese?
Ci sono fin troppe cose che succedono, e onestamente ho difficoltà a seguirle tutte. Di solito vado a sentire le persone che suonano agli eventi a cui partecipo anch’io, o vado sentire i miei amici, ma non ho abbastanza tempo né soldi per andare a vedere tutto ciò che c’è là fuori. Posso solo dire che molti musicisti sono aperti alla sperimentazione, e questo è fantastico.
8. Quando puoi ti sposti per suonare in giro per il mondo, Europa e in particolare Italia comprese. Come vedi la scena internazionale a livello di rapporti umani, professionali?
(foto di Valentina Seri) Non di aver capito del tutto la tua domanda. Ad ogni modo, posso dirti che mi piace suonare in Italia perché sembra che alle persone piacciano le mie canzoni. Forse dipende anche dalla città in cui mi trovo a suonare. Come che sia, il modo in cui canto può probabilmente essere considerato “troppo emozionale”, ma gli italiani sembra che conoscano cosa può essere un’emozione, e per molti io posso essere “TROPPO” (risate). Penso che ci siano differenze culturali, sebbene siamo tutti esseri umani con cuore ed emozioni. Ma a questo punto vorrei io porre una domanda agli italiani. Mi sembra infatti che voi abusiate dell’espressione “amore”; che cosa significa allora per voi “amore”? Per questo motivo, nel mio ultimo concerto al Terminal di Macerata usavo parole come “amare, sentire”, e ho chiesto a degli amici di tradurmi alcune frasi, e ho cantato la frase “vi amo, quando vi sentite amati, per questo vi amo”.
9. Intendo qualcosa all’interno e qualcosa all’esterno della scena musicale: in particolare il pubblico che incontri quando fai i tuoi concerti e gli artisti che incontri, anche questi, quando fai i tuoi concerti.
Questa è una domanda difficile a cui rispondere. Ogni pubblico è differente, e a qualche artista piace quando il pubblico è molto calmo, ma a me piace anche quando è movimentato. Tuttavia in Giappone, per me, non è facile avere parecchio pubblico per molti concerti (a meno che non si tratti di un evento speciale, non è facile per molti di noi portare molte persone agli spettacoli), quindi a me non importa se ci sono persone che non mi stanno realmente ascoltando, l’importante è che ci siano, e magari si potranno interessare a me in futuro… c’è almeno questa possibilità. Parlando degli artisti che incontro, beh, davvero non posso rispondere a questa domanda, dal momento che finché suono non posso proprio concentrarmi a guardare cosa fanno gli altri. Posso parlare delle persone con cui suono, ma ancora, molti dei concerti di improvvisazione cui partecipiamo possono essere incontri di una sola volta, e io non sono lì per giudicare…
10. La classica domanda finale a cui non ci si può esimere: come vedi il tuo futuro, musica, vita, tutto il resto?
Tutte le cose più estreme, le situazioni più disperate, finiscono in commedia; sarebbe bello se potessi fare la mia parte in questa commedia. Non so che cosa riserva il futuro, quindi seguo il flusso delle cose. Ovviamente, ci sono cose che faccio intenzionalmente accadere, come le molte registrazioni che ho fatto quest’anno. Ho sempre creduto nel potere dei concerti dal vivo, ma in seguito alla diffusione di cose come l’ipod, lo streaming e il downloading, sta diventando sempre più difficile portare le persone ai concerti. Perciò ho iniziato a pubblicare la mia musica, l’ho fatto ancor di più quest’anno. Sento molto questa urgenza di incidere i miei lavori, spero solo che questo non sia il segnale che sto per morire presto (risate)! Dal momento che ho lavorato in parecchi campi, con persone differenti con diversi background alle spalle, avverto la necessità di presentare al pubblico tutte le cose a cui ho lavorato. Non per poter semplicemente dire che sto lavorando a questa e a quell’altra cosa, ma perché ciò che faccio proviene da tutte queste differenti esperienze, ciò definisce chi sono e perché sto facendo questo e/o quello. Ma ciò che, in ultimo, davvero voglio, è produrre qualcosa che abbia a che fare con l’amore. È sempre stato così, per me. Io voglio amare, voglio essere amata, e voglio che le persone sentano l’amore. Non sto parlando di niente di convenzionale, ma di qualcosa di più profondo, qualcosa che tocca il bene, il male, e tutte le cose.
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