Di Elisa Girotti
Paolo Nori mi fa rabbia. Ogni volta che leggo un suo libro, cosa che è succesa piuttosto di frequente negli ultimi 12 mesi, inizio a parlare e pensare con il suo stesso stile. Nori fa spesso voli pindarici, con frasi sintatticamente sconclusionate, paragrafi completamente sconnessi che ad un tratto si ricollegano, come in un enorme pianta aggrovigliata che tutto ad un tratto si riunisce in un’unica radice. Il problema, con i miei pensieri e le mie parole, è che io non ho una visione d’insieme abbastanza ampia da riuscirci, almeno non sempre.
Essenzialmente “Grandi Ustionati” è la storia di Learco, grande ustionato a causa di un incidente d’auto, della sua degenza in ospedale, del suo lento recupero. E questa è una trama.
Essenzialmente “Grandi Ustionati” è la storia di Learco, quasi vincitore di un premio letteriario e del suo tentativo di capire che tipo di scrittore lui sia, il tutto sullo sfondo di un brutto incidente. E questa è un’altra trama.
Essenzialmente “Grandi Ustionati” è la storia di Learco, del suo rapporto difficile con un padre distante e malato, con una madre semi-presente e delle incomprensioni che sono alla base dei rapporti familiari, il tutto complicato da un grave incidente E questa ne è ancora un’altra.
E potrei continuare così per almeno altri due o tre capoversi.
Il punto è che “Grandi Ustionati” è tutto questo mischiato e shakerato (passatemi il termine) in un unico lungo racconto, spezzettato in una miriade di micro paragrafi. A salvarci da quello che potrebbe sembrare una catastrofe letteraria confusionaria e squilibrata c’è la lucida visione d’insieme che ad un certo punto si rivela sommessamente. Certo non è facile scorgerla in tanta confusione, ma c’è ed è un grande sollievo riuscire a venirne a capo.
Dopo aver letto “La meravigliosa utilità del filo a piombo” e “Pubblici Discorsi” si può dire che Nori dà il meglio di sè nei racconti brevi e nelle divulgazioni di una ventina di pagine al massimo, quando si cimenta in qualcosa di più lungo diventa inevitabilmente troppo arzigogolato, troppo confuso. Non mancano i suoi “classici” rimandi a certe opere, scrittori e situazioni, ma neppure annoiano certe ripetizioni. Nori conserva intatta la capacità di essere riletto più volte cogliendo ogni volta qualcosa di nuovo, un aspetto nascosto, una frase sottovalutata all’inzio.
Un’ultima nota va alla meravigliosa copertina, anche lei fa parte del grande disegno che sottende al libro; è un piacere chiuderlo e scoprire che anche quest’ultimo ramo parte dalla stessa radice.
Link: Paolo Nori, Grandi ustiionati, Milano, Marcos y Marcos, 2012