Zbeen ‘Stasis’


(entr’acte/Ripples Recordings 2012)

Dispiace un po’ dover ricorrere alle forbici per accedere all’ascolto di questo cd, fermamente sigillato dentro un algido packaging simil industriale che rimanda all’estetica della label raster noton. Ma tant’è, un taglio netto, preciso, e via. Chirurgia dell’accesso che del resto ben si sposa con l’estetica proposta dal duo Gianluca Favaron ed Ennio Mazzon, alle prese con field recordings e manipolazione digitale, coadiuvati in fase di mastering dall’attento Giuseppe Ielasi.
Le note della label, riassumendo a base di campi vettoriali e particelle sonore piazzate al loro interno, può apparire viziata da un eccesso di concettualizzazione e astrazione matematica, quasi a volere tracciare una decisa linea di separazione tra l’umanità dei musicisti e le loro apparecchiature elettroniche che assemblano e scompongono bit plasmandoli in suoni. Tuttavia a dispetto di tali premesse e della stasi annunciata dal titolo, il cd brulica di vita, di forme in divenire, di colori (sia pure desaturati sino a diventare toni di grigio) e di inattese aperture quasi melodiche che non riescono a trattenersi dall’arrancare tra fredde e desolate rovine digitali. Un bug nella programmazione che lascia filtrare residui di emozioni che il pulsare dei circuiti e degli algoritmi non possono arrestare.
Due soli i brani di ‘Stasis’, con i quasi 30 minuti del primo, Skyr Stillheten, ad occupare i due terzi del cd. Introdotto da fosche nebbie digitali e da lunghe strisce di suoni che si allungano verso l’alto come i fumi di pire lasciate a morire su distese di nulla, a poco a poco emergono suoni scricchiolanti, echi di voci abbandonate, imperturbabili mormorii in bassa frequenza e impetuose maree grigie ed avvelenate. Non riesco a togliermi dalle orecchie l’immagine di una qualche strana forma di paesaggio tra l’organico e il meccanico, in lenta e continua mutazione, con la musica come a circumnavigare e zoomare su alcuni dettagli per poi lasciarli disintegrare. Ad un certo punto gli eventi sonori diventano più concitati, interferenze, disturbi, bleeps, flickering dei sensi, strutture che iniziano a sfaldarsi. Il piccolo miracolo avviene alla fine con una quasi impercettibile melodia che inizia a scavare ed emergere. Nasce come un organo, cresce come un malnutrito Fennesz in slow motion e muore con struggente dolcezza quasi acustica. Incessanti pulsazioni, luccichii digitali, rombi lontani per Flytende Stillheten, più accessibile nella sua relativa brevità, ma leggermente meno suggestiva. Consiglio vivamente l’ascolto in cuffia per apprezzare al meglio i, per citare Bernhard Günter , détails agrandis contenuti in ‘Stasis’.

Voto: 8

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