(Den 2013)
Rifulge di salvifica ostilità manifesta “Nuhk”.
Al
contempo, rivendicazione d’appartenenza e gesto d’autodifesa.
Fra
ruggine, salsedine e calore estremo, un tutt’uno corroso ma non
domo.
Dalila Kayros non s’omologa in forma di ricercata
tappezzeria etno.
Piuttosto spalanca le porte, al caos montante
che tutto travolge.
Non lo respinge e lo accoglie.
L’orrore in
divenire c’attende chiamata, scorto nel lampo di un riflesso.
Che
tanto poi, il mare tutto spazza ed il sole, cuoce, sgretola e
polverizza.
Un processo di saturazione/suturazione, in assenza
d’anestetico.
Come la perturbante Hasher di “Spears
Into Hooks”, raggelante e detritica.
Fisico disagio, come
spesso non capita di provar.
Reinventandosi una lingua strappata,
fatta di dialetto sardo, fonemi gutturali e sbatter di denti.
Grazia
animale, che Antonio Zitarelli (Neo/Mombu),
asseconda ed espande.
Aromi di uno ieri, per molti ancora l’oggi,
screpolature digitali, intromissioni e perdita di memoria.
Non
ricercavano stordimento estatico, i Prunes di “A New
Form Of Beauty”, nel loro bucolico, infantile incubo, ad
altrettanto cielo, sottintendevano i Neubauten di
“Kollaps”.
“Nuhk” è sguardo fisso
su masse umane in movimento/contrapposizione, i burattinai, lontani
ed irraggiungibili.
L’anima a brandelli, di fronte a corpi in fase
di scontro per un nulla.
Imperfetto nel suo asfissiante
parossismo.
Dov’è finita la bellezza?
A chi serve
ora?
L’isola da cui proviene Dalila, ogni giorno è
trascinata più lontana.
L’orda colonizzatrice è ben
visibile in lontananza (come in “Altai” di Skinshout e
Xabier Iriondo), troveranno pietre e bastoni ad attenderli a
riva.
Non sarà una passeggiata.
Maneggiare con cura
amorevole.
Voto: 8
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