(Navona 2013)
Jerome David Goodman è un compositore americano che alterna il mestiere di musicista a quello di medico: cosa non nuova tra gli autori seguiti dalla Navona. Si apre con una Suite per quintetto di fiati e contrabbasso che risulta ben scritto, minuziosamente cesellato, con le morbide sonorità degli ottoni che si intersecano a quelle talvolta ruvide del contrabbasso, inscenando dialoghi anche fitti ma pur sempre condotti a voce bassa, senza mai disturbare l’uditorio; ogni movimento ha il ritmo di una conversazione garbata, seppur alla lunga un po’ stantia. Tutt’altro che moderato è invece il tenore del secondo pezzo in programma, i tre preludi per pianoforte, improntati a un post-romanticismo in cui il virtuosismo è messo al servizio dell’espressione. Felice sintesi di queste due anime di Goodman sono il quartetto di sassofoni, ricco di eleganti temi e arabeschi sonori di sapore francese, ma non privo di momenti più dinamici e propulsivi; e soprattutto il conclusivo concerto per violino. Qui lo strumento solista ingaggia una sorta di duello ad armi pari con l’orchestra, il violino giocando ostinatamente a nascondersi dietro la barriera protettiva della tonalità per poi uscire all’improvviso a sferrare attacchi con penetranti assolo, l’orchestra ribattendo con una batteria di strumenti a percussione che disorientano l’avversario, col quale in ultimo si riconcilia in quella che possiamo definire un’intrigante, nella sua intricatezza armonica e ritmica, unione d’intenti.
Voto: 6
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