(Music From Memory 2014)
La catena di gesti quotidiani, isolati e simili, nel fluire del
veneziano Masin, ha sempre trovato una serena
pacificazione.
Artista prezioso, che mai ha perso le chiavi di
casa, la sua porta, è sempre stata lasciata aperta.
Un
percorso trentennale, discreto e fuori da ogni tipo di
clamore/frastuono.
A cominciar da quello di una
presenza/produzione (forzata) a getto continuo, propria di
un’informazione globalizzata, che spesso si tramuta in catena corta e
guinzaglio al collo stritolante.
Un’istantanea fuori da ogni
tempo, leggera e consapevole, dove puoi realmente sentirci dentro,
un’incontenibile amore per la vita (in ogni sua manifestazione).
Una
carriera fatta di silenzi prolungati, di coraggio quotidiano,
d’osservazione/assorbimento/crescita.
Non credo che per Masin, sia
mai esistito un nevrastenico tormento produttivo.
Le assenze,
coincidono con vigorose bracciate, in direzione del mare aperto,
sempre con lo sguardo rivolto in avanti.
Ci volevano gli
impagabili tipi dell’olandese Music From Memory, a
costringerlo con amore, ad aprir i cassetti di una produzione, che
parte nel 1986 con l’album “Wind”.
Un magnifico doppio
vinile “Talk To The Sea”, per diciassette tracce, in
larga parte inedite (o scarsamente disponibili).
Elettronica,
organizzata in piccoli loop, ipnotici ed evocativi, qualche calibrato
intervento acustico, suo o degli amici/compagni di viaggio di sempre
(il basso di Alessandro Monti, con il quale ha condiviso “The
Wind Collector” del 1991, la tromba di Massimo Berizzi,
le tastiere di Alessandro Pizzin).
Sospensioni
ascensionali, impalpabili ed impagabili, da stringer al cuore nei
momenti che contano (buio e luce, le facce della stessa
medaglia).
Polvere di stelle fra le dita, la straordinaria
scrittura fuori schema del compianto John Martyn (quando,
sempre troppo poco, Masin offre la sua voce, Snake Theory,
Call Me e l’affondo Almanac), l’amore per la
sperimentazione di cellule jazz (il Canada del piano e tromba di Paul
Bley e Kenny Wheeler, non di meno un tal Davis. La
perfezione di The Kasparian Circle), gentili movimentazioni
ritmiche, che diresti sfuggite al sud del mondo (Africa, Asia,
America), il rapimento minimale/estatico/circolare di Terry Riley,
l’odore, i colori e lo sciabordio della laguna di Venezia al tramonto
(quel miraggio che è Stella Maris, l’insostenibile
emotivamente She Wears Shades).
Un’insieme per molti versi,
precursore dei migliori Boards Of Canada (ed io mi tengo lui
tutta la vita…).
Ci fossero state anche: Valentine da
“The Wind Collector”, Vertical, da “Moltitudine
In Labirinto” (con Giuseppe Caprioli), The Last Dj
e la rassicurante The Spring Song, (dall’album in download su
Laverna), avrei le ossa rotte (io) e le palle piene delle mie
parole (voi).
David Lynch “In Acque Profonde”
dice: Per le idee il desiderio è come un’esca. Quando
peschi devi armarti di pazienza. Metti l’esca sull’amo e poi aspetti.
Il desiderio è l’esca che attira i pesci all’amo, ossia le
idee. Il bello è che quando catturi un pesce che ami, anche se
è un pesciolino (un frammento di idea), questo ne attirerà
altri che, a loro volta abboccheranno. Allora sarai sulla strada
giusta. Ben presto arriveranno tanti, tantissimi altri frammenti e
l’idea intera verrà a galla. Tutto nasce dal desiderio, però.
Datemi retta, compratevi una fonovaligia (che è anche
figa…), e portatevi questo disco sempre dietro (ovunque voi andiate).
Voto: 10
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