(Retroazione Compagnie Fonografiche / Ammiratore Omonimo Records 2014)
L’avevamo bramato, atteso a lungo e poi (tristemente), anche
dimenticato, questo gemello cattivello di quel “Il De’ Metallo”
del 2009.
Che una strategia espositiva, il quartetto romano dei
Vonneumann, l’aveva e l’ha.
Ma: la vita di non meno sa
esser birichina, e l’inabissamento della Ebria sommato
all’infruttuoso rapporto con la Differential, tutto pareva
trascinar a fondo.
Ma: Vonneumann, sempre ha sgambettato agile, in
direzione di una destrutturata/umorale forma canzone, inglobando
composizione istantanea, ragionata radicalità e cianfrusaglie
assortite.
Fra scarse apparizioni pubbliche, forte coesione
interna, tenacia, una curiosità infinita, imparare,
dimenticare e spesso ritrovare, corrodersi e riderne, in un continuo
dentro/fuori/intorno, il corpaccio di un rock (+ o -), sbatacchiato
da ogni parte, il coppino suggerisce.
“Il De’ Blues”,
lungi dall’esser bello liscio e piano, è operina che lascia
azzuffar con gioia gli strumenti, e a pensar che sia stato composto e
registrato fra il 2005 e il 2007, qualche brivido dà.
Ritmica in
sparpagliamento, fiati, chitarre carezza/grattugia e qualche sberla
sotto un sole invitante (Pensiero Di Katiocs), bei riffettoni,
che ad ogni apparizione mutano un pelin (Blackémon),
tristi fanfare in coda a scaracolli percussivi e distese lisergiche
(Un Bel Morover Per Braun), stretti avvinghiati, in un
vorticoso ballo da fine del mondo (Stabilo Bìmmago), il
free e i randelli elettrici di Doppio Nativo, Mezzo
Nagarole, il metallo, i tormenti e i parassiti della conclusiva
Napqueen.
I dispari diventano pari, il verde e il marrone
si posson indossare, quel che pare, spesso non è eguale al
dire.
Prego, scusi, mi concede un altro ballo?
Daje!
Prima
e dopo i pasti.
Voto: 8
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