Di Chiara Amoretti & Rachele Paganelli foto di Rachele Paganelli ammaccabananer@gmail.com ourgirl@hotmail.it
“Ma Vasto dov’è?”, “ Boh, ho visto su Google Maps e dice che è in Abruzzo!”. Vasto è una provincia cronica e marittima dell’Abruzzo, ad un’ora dalla ben più nota Pescara. Ci sono i sanpietrini, le palme, una vita media tranquilla, scorci mozzafiato con lunghe terrazze che si affacciano sul mare da giardini antichi e pieni di fiori, un mare bellissimo, i trabocchi. La conosci solo se hai un motivo ben preciso per andare (un po’ come tutto il Centro Italia, purtroppo). Noi lo avevamo: il Vasto Siren Fest (e va bene… anche gli arrosticini!). Un festival nuovo e originale con ottimi artisti e un setting da cartolina. Vasto promette tutto questo, e lo mantiene. Un’organizzazione ambiziosa ma capace che riesce a portare nel cuore dell’Abruzzo alcuni degli artisti più acclamati e apprezzati da pubblico e critica, e di conseguenza turismo da tutta Italia e oltre. I concerti si tengono in varie location, tutte suggestive e intime (piazze, giardini, cortili, arene), e facilmente navigabili per chi non vuole perdersi nessuna delle band in cartellone. L’evento chiave della prima giornata è la proiezione di ‘Mistaken for Strangers’, documentario sui The National diretto da Tom Berninger, seguito da un’intervista con Tom stesso e Matt, suo fratello e frontman della band. Il film è esilarante e onesto, toccante e personale a una profondità che raramente (se non mai) un documentario su una rock band sa toccare. La discussione che segue non fa altro che aumentare il sentimento generale di aver visto qualcosa di unico; sia Tom che Matt parlano apertamente del loro rapporto, delle ispirazioni ‘urbane’ come Youtube e del processo di “psicanalisi” reciproca che hanno prodotto questo film. Due fratelli distanti, diversi quasi opposti, la solitudine di Tom verso il mondo, il non saper cosa fare della propria vita soprattutto quando tutti ti dicono “hai le capacità ma non ti applichi” e hai un fratello che riesce meglio di te in tutto. Matt lascia tutto lo spazio al fratello per non urtare la sua sensibilità e a fine intervista dà prova di un gesto di grande umanità: durante la proiezione un ragazzo ha chiesto a Matt autografo e foto ma lui fa cenno di godersi il film, finito l’incontro salta direttamente dal palco alla transenna e fa cenno a quel ragazzo in prima fila di avvicinarsi. Un gesto meraviglioso, semplice e diretto proprio come lui. Ci scambiamo due parole, gli regaliamo del vino e ci regala un sorrisone. È un uomo timido, simpatico, gentile e riconoscente verso chi lo ama, tant’è che faticava ad andarsene. [video mistaken for strangers] I The National sono protagonisti anche della seconda serata del festival, ma questa volta in carne ed ossa, essendo gli headliner del palco principale a Piazza del Popolo. Le due band che li precedono sono molto diverse fra loro: i Dry The River (foto a sinistra) aprono con ritmi di classe e leggerezza aurea, e alla fine del concerto hanno conquistato l’intera piazza – durante il cambio palco possono essere avvistati in mezzo alla folla a fare foto col pubblico innamorato. The Drones, seconda band della serata, è di tutt’altra razza: un rock cattivo con ispirazioni ambiziose come BRMC/Nick Cave che, forse anche per la loro decisione di non fermarsi quasi mai tra una canzone e l’altra, risulta meno ispirato. Tra una band e l’altra ci spostiamo all’Arena delle Grazie per applaudire i Ninos du Brasil band che propone poca musica live, principalmente basi ma dall’ottimo impatto stage tra coriandoli e flash. Da notare a questo punto l’estrema puntualità dell’organizzazione, che in entrambe le serate non sgarra neanche di un minuto l’entrata in scena delle band rispetto a quanto annunciato. E cosí, come da copione, alle 23.30 arrivano nel main stage i The National. E con grinta, poesia, e una buona dose di vino, suonano qualcosa di livello ben superiore alla solita setlist piena di crowd-pleasers che ci si aspetta da un festival. Forse ispirati dalla location (Matt Berninger è tanto innamorato dello sfondo marino da prendere in prestito il cellulare di una fan per farsi una serie di selfie) (foto di Eleonora Ducci), forse dal calore dimostratogli dai fan, si danno al pubblico totalmente. E non solo in senso figurato: Matt si immerge nella folla trasformando un intero verso di Mr November in serenata sotto il balcone di una signora della piazza passando prima dentro il bar adiacente, salendo poi sopra il bancone dello stand di bevande all’esterno riuscendo a cantare e nel mentre a prepararsi un cocktail per poi berne un po’, gettarlo sulla folla, accettare un bicchiere di birra e rigettarlo sulla folla. Matt è davvero generoso e rock ‘n’ roll. [video Mr November] Suonano gran parte di Trouble Will Find Me ma anche Terrible Love, Afraid Of Everyone, England, una tostissima versione rock di Squalor Victoria dove Matt urla, batte il microfono in testa e si piega su se stesso. Ma non mancano le rarità fatte apposta per i fan di vecchia data: The Geese of Beverley Road e Wasp Nest commuovono l’intera piazza, e si avverte il desiderio da parte della band di creare qualcosa di indimenticabile per i fan. Insomma, la band di Cincinnati conquista Vasto, e allo stesso modo si ha l’impressione che Vasto abbia conquistato loro. Piccola soddisfazione personale: Matt, dopo il concerto ci riconosce e ci ringrazia di nuovo calorosamente per il vino. Gli è proprio piaciuto! La seconda giornata gioca sui toni dell’elettronica e del rock più sperimentale. A cominciare da Alexis Taylor, frontman dei re dell’electropop Hot Chip, Piazza del Popolo si riempie delle emozioni spigolose e intimità scomode che caratterizzano il suo album solista ‘Await Barbarians’. Al termine del suo set ci spostiamo verso la vicinissima Arena delle Grazie dove i Joycut, promettente band italiana, sta per cominciare il suo set. Le loro atmosfere si dividono tra The Cure e A Place to Bury Strangers in modo agile e originale. Di ritorno sul main stage, invece, John Grant sta iniziando il suo set davanti a una piazza gremita. I suoi fan si fanno sentire e a loro, come a tutto il pubblico, John dedica un concerto a parti uguali rock e elettronico, sostenuto e intenso, ma soprattutto onesto e coinvolgente. Il cantautore americano attinge dai suoi due album ‘Queen of Denmark e ‘Pale Green Ghosts’ per comporre un’eterogenea ma coerente estetica dell’autoironia e della brutale onestà. Canzoni come GMF conquistano il pubblico proprio per questo: il sorriso ammiccante di John mentre ci racconta di sé stesso in modo esagerato e completamente affascinante è irresistibile. Il suo show è talmente brillante da farci desiderare un encore infinito. Ma è ora la volta degli attesissimi Mogwai che concludono la serata facendo da colonna sonora a una notte che promette tempesta. La setlist include alcuni dei loro momenti più alti, come How to be a Werewolf e Mogwai Fear Satan, e i fan ne rimangono estasiati, delusi forse soltanto dalla relativa breve durata dello show. I Mogwai sono probabilmente i musicisti rock più dotati sulla scena attuale, e durante lo show si sentono fisicamente le mascelle di tutti gli aspirant post-rocker in piazza crollare al pavimento. Unica piccola pecca: è un’opinione personale e discutibile, ma forse il loro approccio clinico verso il live show non dà il giusto risalto alle loro creazioni – che sono niente di meno che geniali su disco. Forse basterebbe un po’ più di interazione col pubblico, per dare alla tecnica un volto umano. Concerto terminato. Cosa fare? La domanda si pone giusto tre secondi per realizzare che c’è un fantastico dj set di Umberto Palazzo, Lady Maru e JD Samson che ci farà compagnia fino alle prime luci della nebulosa alba. Tutto finito? E invece no. Ultimo, ma solo per posizione, il live dell’intensa e oscura Anna Von Hausswolff nella chiesa di S. Giuseppe che chiude il festival domenica 27. Una location davvero adatta per la sua musica suggestiva e quasi al limite del liturgico. Una voce incredibile che ci canta gran parte del suo ultimo lavoro ‘Ceremony’. Insomma, questa prima edizione del Siren Fest fa ben sperare per il futuro del panorama della musica live in Italia. Ci sono stati diversi problemi logistici tra dj set spostati all’ultimo momento e mal comunicati, autobus presenti all’andata e non al ritorno, una Vasto marina meno coinvolta rispetto al piano originale e una città poco pronta ad affrontare tutta quella gente (chiudere completamente la piazza principale e far passare i cittadini dall’entrata dove tutti i ragazzi erano in fila non è stata una grande idea), ma sono sicura che serviranno solo a migliorare l’esperienza negli anni a venire. E sì, parlo proprio di anni perché il Siren Fest è un festival assolutamente da ripetere, che coinvolge lo spettatore tra live show, incontri letterari (da segnalare l’evento su John Fante tenutosi il venerdí: grazie di aver dato risalto a questo autore grandissimo che l’Italia generalmente ignora) e proiezioni cinematografiche di altissimo livello: vedere ’24 Hour Party People’ dopo il concerto dei The National è stato meraviglioso, un’emozione infinita per il ricordo di una Manchester geniale, ma anche essere stravolti dalla potenza dei Clash e dalla vita di Joe Strummer in ‘The Future is Unwritten’, o essere inghiottiti dal mondo di David Bowie in ‘Five years’ e dalla vita sul filo del rasoio di un negozio di dischi a Belfast in ‘Good Vibrations’. Adattando una citazione dei Dry The River, che dal palco hanno dichiarato che questo fosse il posto più bello dove avessero mai suonato, noi possiamo dire che questo sia il posto più bello dove abbiamo mai visto un festival. See you next year!
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