(L’Inphantile Collective 2014)
Compressione e deflagrazione,
feroce e slabbrata.
Pulviscolo in sospensione.
Ammorbante in
ambiente degradato/terminale.
SYK è urto, tutto
spigoli e lividi.
Sette plumbee osservazioni perimetrali,
aggrappate ad un grumo espressivo, che sprizza materia bruta
tutt’attorno.
Le maglie nere del noise/hardcore, del post-metal
più visionario e (fugaci) distensive oasi, dove sgranar
sfiniti rosari industriali.
La chitarra e la batteria dei due ex
Psychofagist, Stefano Ferrian e Federico De Bernardi
Di Valserra, la voce e i synths di Dalila Kayros
(procuratevi assolutamente il suo “Nuhk” sull’ottima dEN
Records di Ferrian, poi ne riparliamo), il basso di Luca
Pissavini (nella line-up da studio).
Schegge che strappano,
fumi che impestano, in costante progressione annichilente.
Umori
di corde acidi, ripetitivi e attorcigliati, in dissesto emotivo tra
le eleganti invettive di un Keith Levene o un Geordie,
sbatacchiati in azione convulsa, più e più volte
addosso un muro, con la grazia di un Kevin Martin o di un
Justin Broadrick.
Un percorso tribolato di cingolati
ritmici, frammentati ed inventivi, senza nessuna tregua, senza
nessuna concessione.
La cupa eruzione dei Gerda, l’urlo
straniante di Sid dei CCM, i rabbrividenti
Contropotere.
A tratti insostenibile nella sua
ostinazione.
Nessun balbettamento o concessione.
Una squassante
visione da un futuro prossimo venturo (se non anche, buono per
l’ora).
Che il naso sanguini, mi pare il minimo sindacale.
Voto: 8
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