@ Warehouse, Roma Europa Festival, 7/11/2014Di Monica Valeri
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Aspettavo da giorni l’arrivo di Ben Frost al Warehouse in occasione del Roma Europa festival e già dalla location, si presuppone una gran serata. Il locale è perfetto, un capannone isolato in una semioscurità adeguata, uscendo dalla città. Il pubblico decisamente variegato e inaspettato con un’età media elevata, e l’attesa si fa decisamente lunga. L’artista australiano sale sul palco a mezzanotte, accompagnato dal percussionista Shahzad Ismaily. L’impatto iniziale con chitarra e batteria è sorprendente e lascia ben sperare. Luci a led sparate sul pubblico a tempo con le martellanti percussioni. Ovviamente si tratta del tour dedicato al suo ultimo lavoro, ‘A U R O R A’. Si inizia con No Sorrowing e Sola Fide, anche se già dopo mezz’ora inizia a diventare difficile distinguere i pezzi incatenati in un’ alternanza ciclica di atmosfere e suoni incalzanti. Mi aspettavo molto, molto altro e invece il concerto poteva concludersi pure lì. Quindi, se da un lato l’apertura è stata folgorante, dall’altro il proseguimento non c’è stato, ma ci si è arenati tra un senso di appagamento e un senso di stanchezza. A stento ho riconosciuto le tanto attese Venter e Nolan in un coacervo di suoni e frastuoni ripetitivi per non parlare di The Carpathians e Flex. Dal vivo viene giustamente dato rilievo alla parte più emotiva e diretta del sound, ma è stato oltremodo riduttivo. Mancavano quelle atmosfere glaciali che rendevano il disco qualcosa di speciale, lasciando solamente l’aggressività e le emozioni più primitive; d’accordo che i tamburi africani sono stati l’elemento chiave nella creazione di ‘A U R O R A’, però c’era anche altro.
L’esibizione finisce dopo un’ora precisa e quel che rimane è una sensazione di dispiacere per quel qualcosa in più che poteva esserci. Me ne vado con l’insoddisfazione e l’odore di fumo addosso, sì perché ormai a Roma pare normale e doveroso fumare nei locali.