(Red Cat Records 2015)
“La tecnica non conta. Io mi occupo di emozioni” rispose Jimmy Page a coloro che lo accusavano di essere un musicista e un compositore sopravvalutato; gli dicevano che scopiazzava qua è la tra i grandi del blues, che con soli 3, 4 lick di pentatonica riempiva album interi. Era vero? Si. Ma conta? No. Questo perché quando parte ‘Led Zeppelin I’, sia che tu ti stia sbattendo la reginetta del ballo o che ti abbiano appena inciso “Viva Marco Mengoni” sulla fiancata della macchina, mandi a fanculo tutto e godi come un pazzo. Se questo non succede, chiediti cosa è andato storto nella tua vita per divertirti con Marco Mengoni. Comunque vi starete chiedendo dove io voglia arrivare, o che problemi io abbia… Bene, abbiamo qui di fronte l’album di debutto degli HOGS, e nel doverne parlare si pone proprio il problema del rapporto tra tecnica, emozioni e scopiazzamenti dai grandi del passato. Questo perche ‘HOGS in fishnets’ è un album sicuramente ben fatto, dal suono bello rotondo e caldo, che strizza l’occhio al tipo che se la fa con la reginetta del ballo di cui parlavamo sopra. Il fatto però è che siamo di fronte a 4 musicisti realmente validi tecnicamente, ma che al contrario del nostro eroe zeppeliano, non emozionano molto. Ci provano onestamente, ma in nessuna delle dieci tracce del disco ci si attorcigliano le budella, e parliamoci chiaro, se l’hard rock non ti arriva alla pancia facendoti venire voglia di mandare a quel paese tua nonna e i suoi 10 euro di paghetta, comprare una muscle car, riempirla di figa e droghe assortite e attraversare il deserto del Nevada, allora “Houston abbiamo un problema!”. Certo, se la notte vi sognate di coccolarvi tra i ricci improponibili del cantante degli MC5, o il vostro sogno è quello di regalare 2 falangi nuove a Tony Iommi, allora questo disco ve lo gusterete comunque anche se non attraverserete mai il deserto del Nevada. Si, perché è un disco che omaggia, più che scopiazza, buona parte della storia dell’hard rock, ma lo fa con un sound più moderno. Infatti per quanto il punto di riferimento siano gli anni ’70, sembrano visti dalle lenti di alcune band degli anni ’90, come Blind Melon, Govt’Mule o gli Stone Temple Pilots meno aggressivi, che riprendevano si, i bei anni che furono, ma rivisitandoli con un sound “aggiornato”. Detto questo, se ascolterete questo disco, evitate di sentire le traccie 7, Living by the low, e 9 Dance on rock, perché sembrano uscite da un disco dei Van Halen con Sammy Hagar alla voce, e speravamo veramente che quel periodo fosse morto e sepolto. Buon ascolto!
Voto: 6
Davide Giustozzi