Kosmose ‘Kosmic Music From The Black Country’


(Sub Rosa 2015)

I belgi Kosmose, attivi fra il 1973 e il 1978, erano band di
libera espansione strumentale (con un pre fine sessanta come SIC
e un post della stessa sigla sul principio degli ottanta fra impro e
new wave).
Praticamente sconosciuti e senza incisioni a loro nome,
si muovevano lungo brutali coordinate free.
Un collettivo da prove
domenicali e poco altro (una dozzina di concerti nell’area di
Charleroi), tutte debitamente registrate su nastro con un paio di
microfoni nella casa di Francis Pourcel (basso/chitarra).
Un
rituale immersivo da scintilla istantanea.
Spingendo, ampliando,
sperimentando.
Tutt’attorno il nulla in pompa massima di schiere
di band rock-blues.
Isolamento ed astrazione.
Percussivi e
ulcerati da macchie solari di synth, effetti, tape loops, bass synth,
rhythm box e radio, oltre corde, pelli, metalli e sfiati.
Di
approcci non convenzionali e tirate da soundtrack in acido.
Dal
1974 al 1978 con urgenza, un estratto dal vivo del 1977 al “Festival
Du Film De Science-Fiction” a Charleroi, tutto pulito, riparato
e masterizzato quasi quarant’anni dopo da Alain Neffe (la
componente elettronica di Kosmose).
Ma non ci si aspettino
brandelli incongrui e balbettamenti, piuttosto, un percorso che
interseca i Floyd di “Zabriskie Point” (The
Second Untitled Track
), un trattenuto tribalismo cosmico in
serena fase di decollo (The Third Untitled Track), scarti
bruschi di distorto kraut hendrixiano e lamine rilucenti Velvet
Underground
(The Fourth Untitled Track), banalità
hard-prog (la tempesta in arrivo di The Fifth Untitled Track),
feedback in armonizzazione e scorribande alla Manzarek (The
Ninetieth Untitled Track), ipnosi a tratti in orma Mother
Sky
in cerca di un finale adeguato (The Tenth Untilted
Track
), ciondolar soul-astrale con vena in ingrosso (The
Eleventh Untitled Track
), acid rock arcigno, appena ingentilito
da ghirigori prog/kosmische (di elettrica fissità Stooges
e più avanti in ideale orbita Loop, The Sixth
Untitled Track
).
Poi tre lunghe stringhe di suono, fra aromi
Gilmour, spazi ronzanti e rintocchi sintetici, pigolamenti e
riverberi, qualche avvitamento nell’ovvio e un finale battente in
(parrebbe) botta Arkestra persa nel diluvio a breve in
arrivo.
Se l’involucro d’isolamento (in parte volontario) che li
ricopriva fosse stato strappato per tempo, chissà…

Voto: 7

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