(Cedille 2016)
Autore tra i più celebri e, giustamente, celebrati del suo tempo, Steve Reich non può invece essere annoverato tra i più prolifici, se paragonato a certi suoi colleghi (penso ad esempio a Philip Glass). Il che non è certo un male, dato che ciò gli ha permesso di tracciare, con ogni suo nuovo pezzo, un piccolo passo in avanti nel suo percorso di compositore (tratto, questo, che lo accomuna ad un altro suo illustre connazionale, padre putativo della musica classica americana, vale a dire Aaron Copland). Ciò è particolarmente evidente nei suoi brani per percussioni, data la particolare affinità dell’Autore per questo organico. La selezione qui proposta ci offre l’opportunità di apprezzare proprio la graduale evoluzione di Reich, dal rigore strutturalista degli anni Settanta – Music for Pieces of Wood, qui presentato in una versione particolarmente lunga, che ne esalta il carattere ipnotico, martellante, seppur mai eguale a se stesso; ogni entrata dei percussionisti producendo, nello svolgersi del processo avviato all’inizio, vigorosi sussulti percettivi – al capolavoro degli anni Ottanta, quel Sextet che è alla base di un’altra sua celebre opera dello stesso periodo, ovvero Desert Music. Se gli anni Novanta sono qui rappresentati da quel virtuoso saggio contrappuntistico in miniatura che è Nagoya Marimbas, il Reich del nuovo millennio si identifica con il Mallet Quartet, in cui ormai il Nostro si affranca dal minimalismo degli esordi e si concede a una maggiore libertà compositiva, cui corrisponde una varietà espressività esaltata dai bravissimi membri del Third Coast Percussion, straordinari tanto nel sottolineare i contrasti dinamici e timbrici (specie nel magnifico Sestetto) quanto nel restituirci quel senso di flusso continuo, graduale e pulsante che attraversa non solo ogni singolo brano, ma l’intero percorso compositivo di questo grande autore.
Voto: 10
Filippo Focosi