(Rock Is Hell Records 2016)
Il secondo album della slovena (di nascita, ma vive a Vienna) Maja
Osojnik, è opera non accomodante che riesce a sfuggir alle
secche di un settore (elettroacustica-noise) spesso avvitato su se
stesso.
Un doppio lp spigoloso e sensuale, che bilancia slanci
soul post apocalisse, ingranaggi in movimento, silenzi, field
recordings, decostruzioni digitali in ticchettio geiger e azioni su
pianoforti abbandonati/martoriati.
Tra forme ambient in strappo,
prove di volo e fissità trascendenti.
Urgenza e complessità
senza lasciar nulla al caso.
Evidente la ricerca di una
contemporaneità oltre gli steccati.
Un costante stato
tensivo fatto di apparizioni spettrali e materia in tracimazione
controllata.
Frequenze appuntite, tonfi sinistri ed istantanee di
post industrial disidratato fino all’osso.
Stanze vuote, dove è
possibile imbattersi in brandelli di memorie Jarboe / Nico
/ Meira Asher / Laurie Anderson (in sfiancato cammino
sotto un sole implacabile).
Roots music cresciuta abbarbicata ad
un grumo scintillante di detriti urbani in notturno deliquio Coil
(alcuni estratti paion sassolini sfuggiti a “Musick To Play In
The Dark”).
Emoziona e raschia senza inutili performance
brutalizzanti.
Una raccolta di commoventi e devastate torch songs,
sussurrate mentre il panorama tutt’attorno è fiamme e
tempesta.
Fra le opere più personali e destabilizzanti del 2016.
Voto: 8
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