(Clapping Music/Kythibong 2016)
Il quattordicesimo disco dei Deerhoof conferma l’originalità di questa band, che continua a stupire e a scrivere canzoni spiazzanti. Non seguono alcuna moda o cliché prestabiliti, ma si muovono con la massima libertà come dovrebbe fare ogni artista che si ritiene tale.
Se è vero che sono almeno vent’anni che siamo abituati alle commistioni più improbabili, è altrettanto vero che in questo lavoro i Deerhoof riescono ad essere geniali e innovativi, con una semplicità imbarazzante. Nei brani, infatti, convivono più generi, miscelati con maestria, in modo da non far sentire il peso dell’elaborazione, perché questo gruppo non è narcisista, né autoreferenziale.
Chi non li conosce a questo punto si chiederà: si, ma he genere suonano? Bella, e legittima, domanda. Mi limito a sostenere che si esprimono con un alt-pop che vuol, dire tutto e niente.
Il pop aggraziato di Criminals of the dream, nasconde un basso pulsante che non c’entra nulla con il pop, oppure quando il gruppo decide di essere travolgente, ecco i momenti incostanti di Nurse me e l’indie-rock anni ’90 di Dispossessory o i richiami al garage di That ain’t no life for me e i momenti confusi di Acceptance speech.
Sicuramente un lavoro che non passerà inosservato.
Voto: 7
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