(Ravello records 2016)
Questo disco ha due facce. Non nel senso letterale (è pur sempre un CD quello che ho a disposizione, e la faccia che mi serve è solo una), ma ha pur sempre due facce. La prima è la faccia del piano. La prima parte (più breve) parte del lavoro è costituita da Space Rocks: Shapes and Shadows, una composizione in tre movimenti, in cui l’autore si esibisce al piano (preparato, nel primo movimento), offrendo un’articolazione narrativa capace, attraverso l’improvvisazione e l’inserimento di momenti tonali in un contesto generale di tipo atonale, di pregevoli momenti espressivi. La seconda faccia è quella dell’elettronica. Qui l’autore gioca a fare lo sperimentale e, forse per il contrasto evidente, con l’altra faccia, la cosa riesce un po’ forzata e dura da digerire. Se la seconda composizione Reeds by the Shore propone tutto sommato un’apprezzabile ricerca sonora, il disco si chiude malissimo con Speak, Child, in cui l’ossessione della ripetizione del rifacimento sintetico dei vocalizzi di un bebè si protrae per insopportabili 21 minuti e 26 secondi, sfinendo l’incolpevole ascoltatore, che dopo la prima faccia non si aspettava di essere trattato così. Uno scherzo infantile, mi verrebbe da dire.
Voto: 4
Alessandro Bertinetto