(Sub Rosa 2016)
Doppio album che racchiude 29 tracce di varie forme di
sperimentazione elettronica turca, prodotte per la maggiore fra 2000
e 2013 (ma anche una pionieristica traccia del 1961).
Nella prima parte, il focus dell’opera è concentrato su di una severa e
spigolosa visione avantgarde, legata a movimenti di università
e conservatorio. Nella seconda, le contraddizioni sociali,
espresse sotto forma di field recordings e suoni della tradizione
popolare inseriti nel corpo elettronico, delineano una serie di ampie
traiettorie e mutazioni, maggiormente colorate e
immaginative. Probabilmente di spessore a tratti più esile
rispetto alla colta rigidità della prima parte (meno
improntata ad un’espansione verso l’esterno), ma nell’urgenza e ansia
palpabile trasmessa, vera e propria forma di arte politica o estetica
del dubbio. Concretismi e folate digitali, micromovimentazioni,
silenzi e l’arroccamento di una ricerca che non offre spiragli di
facile presa. Poi, le possibilità produttive offerte da una
tecnologia a basso costo, meticciano il suono originale in una serie
di ipotesi (non tutte riuscite sia chiaro), che sondano e ipotizzano
il maggior numero possibile di congiunzioni fra corpo e concetto.
Il suono di stanze ribollenti d’idee, di tentativi e visioni, di voglia
d’incorporazione del circostante, quasi a crear una popular music,
propria, altra, permeabile e (+ o -), accessibile.
Personalmente, alcuni scricchiolamenti della prima parte, fan vibrare goduriosamente le mie antenne, ma è una questione di questioni, irrisoria e
personale. Nel complesso, una meravigliosa esplosione di energia e
diversità. Ovvio tuttavia, che il malloppo, rappresenti un prima di questi nostri giorni. Non oso neanche immaginar, quale
sia la trasmutazione in suono di questo tempo d’angoscia che è l’oggi.
Regime, tradizione, dissenso e fantasia. Il futuro dirà.
Voto: 8
Marco Carcasi