(Specter Fix Press 2017)
Il musicista svedese, dopo aver usato il moniker di Great Black Waters, esce allo scoperto e pubblica per la prima volta un suo disco con il suo nome e cognome.
Si tratta di un lavoro dai forti connotati sperimentali e psichedelici. È una psichedelia dilatata, ma incostante, soffusa, mai esaltata e tronfia, anzi spesso minimale e dotata di molte parti sperimentali, tanto che il risultato è un misto tra ballate folk con poca razionalità, rock, noise, pop e, appunto, psichedelia.
In più di un’occasione il cantato dell’artista svedese evoca quello di Neil Michael Hagerty (Royal trux).
Nel disco i momenti più blues, seppure malinconici sono riservati a TV lights, mentre in Files in the grid, Magnusson sembra voler mettere d’accordo Hagerty con i Gastr del Sol.
Particolarmente stralunata è She walks among the seeds, così come Gone to church, feather dragpipes è totalmente strampalata, o Snakesin è stranamente scomposta, benché sullo sfondo la chitarra resti nei parametri delle dodici battute.
Non c’è che dire un ottimo lavoro sperimentale, perché non ha nulla di artefatto, dato che risulta tutto spontaneo!
Voto: 8
Vittorio Lannutti