(Floating Forest 2016)
Due chitarre elettriche in libero incrocio.
Sette lunghe composizioni istantanee, secche, spigolose e intrise di una certa
malinconia chiaroscurale. Urti impro che intercettano pulviscolo
rock, blues, accenni di folkeggianti madrigali e qualche strepito
noise. Ci si ritrova ad assaporar traiettorie post, di lisergia
quasi classicheggiante nel suo rimuginio metallico (vengon in mente
spettri Quicksilver Messenger Service e questo può
bastare). Dunque, dalle parti di un’ipotesi soundtrack detritica e
rugginosa, tutta feedback, distorsione e pennate spiraliformi.
Quando non forzano e viaggian in scioltezza (il centro dell’album, con le
più brevi Farcitoast, Baker Street, Capisci Che Avevo Ragione [La Rivoluzione Non è Altro] Che Immenso Amore), ci si ritrova inebriati di placidi umori rurali ben
congegnati. Una contrazione del minutaggio complessivo ed una
maggior attenzione alle dinamiche audio (in questo caso di notevole
piattezza), non sarebbe affatto una brutta idea.
La ciccia c’è, si tratta di lavorarla.
Voto: 6
Marco Carcasi
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