(Skycap Records 2017)
In questo album di esordio per la Skycap records, il fisarmonicista italiano Giorgio Albanese si rivela nella duplice veste di compositore e improvvisatore, mostrandosi a proprio agio nelle diverse compagini strumentali che lo vedono alla guida. Se nel brano per fisarmonica solista egli attinge alle radici folkloristiche inevitabilmente associate allo strumento per trasporle su un piano immaginifico e circense, nei pezzi scritti per il suo quintetto – oltre allo stesso Albanese, Steve Potts, Gianni Lenoci, Pippo Ark D’Ambrosio, Danilo Gallo, rispettivamente al sax, piano, batteria e basso (acustico ed elettrico) − si avventura in territori altri, dove jazz, funk e world music felicemente convivono e si nutrono a vicenda. Musica fusion, stimolante e godibile. Più ostica è la lunga, conclusiva Suite del Maestrale, dove si avvale di una orchestra di ben quindici elementi. Nulla a che vedere con l’esuberanza polifonica della classiche Big Band, però. I riferimenti di Albanese sembrano essere altri (ipotizzo): il Miles Davies di Bitches Brew, il free jazz di Ornette Coleman, e forse alcune pagine orchestrali del compositore inglese Thomas Ades. L’orchestra disegna una giungla di suoni da cui, di tanto in tanto, si liberano le voci del sax, delle percussioni o della fisarmonica. Una sorta di espressionismo astratto musicale in cui le voci si intrecciano, si confondono, si impastano dipingendo uno sfondo sonoro magmatico, a tratti un po’ monotono ma comunque affascinante, prova del coraggio di osare che a questo bravo musicista certo non manca.
Voto: 7
Filippo Focosi