(Truth Revolution Recordings Collective 2016)
Un disco molto americano e democraticamente patriottico, che medita sulle follie della guerra e della schiavitù, quello del nonetto capeggiato dal sassofonista alto e soprano Brian McCarthy. Il gruppo presenta uno swing convincente, potente e rapido (tranne che nella malinconica ballad Weeping, Sad and Lonely) e un tessuto sonoro assai ben amalgamato, su cui vengono disegnati i virtuosi assoli dei solisti. Pregevoli in particolare quelli del sax baritono di Andrew Gutauskas nella prima traccia The Bonnie Blue Flag Yellow (versione di una canzone tradizionale irlandese), del leader nella sua composizione Shiloh, del trombettista Bill Mobley nel brano che dà il nome all’album (molto d’effetto soprattutto la parte in cui la tromba viene lasciata sola con il contrabbasso), del bassista Matt Aronof in Battle Cry of Freedom e del batterista Zach Harmon in I Wish I Was in Dixie’s Land (uno dei brani più interessanti, sia per la complessa e tragica storia di questa composizione tradizionale, sia per l’arrangiamento che ne offre la band: strutturalmente articolato, vario negli stili attraversati, e ricco di episodi solisti e corali). Ma anche altre improvvisazioni del leader, del pianista Justin Kauflin e del tenorista Stantawn Kendrick valgono un ascolto ripetuto.
In Battle Hymn of the Old Republic, l’ascoltatore riconoscerà l’inno unionista John Brown’s Body, dedicata al celebre abolizionista: purtroppo però l’ascoltatore italiano (quale io sono) tenderà ahimé ad associare alla melodia lo storpiamento altrettanto celebre “John Brown giace nella pentola a pression…” (che ricordo dai tempi dell’asilo!) e a vedere nelle melodie proposte sventolare con troppa insistenza la bandiera a cinque stelle. Tanto più che quella melodia ritorna citata anche altrove nel disco. Insomma, la retorica della libertà americana è un po’ troppo insistita. Ciò non toglie che il disco sia musicalmente di qualità.
Voto: 7
Alessandro Bertinetto
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