(Innova 2017)
Eric Stokes (1930-1999) appartiene alla folta schiera di compositori americani tanto eccentrici quanto interessanti, ingiustamente poco conosciuti. La sua formazione ci racconta di un giovane autore che, dopo aver assiduamente studiato i classici della storia della musica colta europea, trova la propria voce venendo a contatto con innovatori, e suoi connazionali, come Charles Ives, John Cage, Henry Brant, dai quali riprende, rispettivamente, la tecnica del collage, lo spirito ludico, e lo spazialismo sonoro: caratteristiche che egli amalgama in modo originale fino a forgiare un suo personale linguaggio espressivo, che emerge in maniera particolarmente evidente nelle due suite per quintetto di fiati. Nella seconda ‒ The Lyrical Pickpocket, dove i fiati sono raggiunti dal pianoforte ‒ Stokes attinge a brani folk di schietto lirismo e pronunciata vivacità ritmica, su cui lavora con grazia e raffinatezza per costruire un immaginifico canzoniere strumentale, tanto bizzarro quanto contagioso. Più indecifrabili, anche per ciò che riguarda i testi, sono i due cicli di songs, scritti a distanza di ben trent’anni l’uno dall’altro, ma accomunati da ricercatezza timbrica, senso dell’umorismo, e una sensazione di perenne imprevedibilità. La padronanza delle più disparate tecniche compositive permette a Stokes di dissimularle dietro un velo di naiveté che rende godibili anche i brani apparentemente più ostici.
Voto: 8
Filippo Focosi