(Eh?-93 2017)
Il trio statunitense Bad Jazz si dedica alla soundart, producendo una musica noise da vero e proprio incubo diurno. Il termine Daymare, appropriatamente inventato per intitolare il lavoro, gioca anche con il nome di uno dei componenti il trio: Bryan Day, che qui suona “invented instruments” (completano il gruppo Tania Chen al piano e agli “electric toys” e Ben Salomon, impegnato con altri “invented instruments”). La dimensione onirica in cui veniamo immersi è del tutto concreta. Mettendoci in relazione diretta e immediata con la materialità fisica delle sorgenti acustiche dei suoni e dei rumori, l’incubo di Day ci travolge: e questo non ci permette quel distacco immaginativo che, a detta di molti filosofi, sarebbe responsabile della specifica dimensione dell’esperienza estetica. Così, quando non è la rappresentazione, ma direttamente la realtà, a essere esperita, il sentimento del brutto degenera in disgusto (Kant docet) ed è quanto accade, per es. allorché a un certo punto del disco ci troviamo invasi dal rumore organico decisamente disturbante dei gorgoglii di qualche schifosa sostanza liquida in ebollizione. E anche, per portare un altro esempio, il suono proveniente da quelle tastiere per bambini con orrendo accompagnamento ritmico automatico (di cui purtroppo faccio ogni tanto esperienza a casa mia) è fortemente irritante e stucchevole. Irritante, stucchevole, disgustoso: un disco, in tal senso, riuscitissimo, nella sua onirica, ma materialissima, perversione.
Voto: 8
Alessandro Bertinetto