(Glitterbeat 2017)
Di future visioni ed arcaici giochi pietra contro pietra.
Sacro e sensuale, l’est e l’ovest, fluttuazioni ispirate e refoli che nel
tempo segneranno indelebilmente materiali altri (Byrne,
Sylvian, Gabriel, una bella fetta spessa di ambient e
parecchio pop, per modi, contenuti e ambientazioni).
Fra giungla rigogliosa, umida e soffocante e l’asfalto lucido di una metropoli
inzuppata fradicia di neon solitari.
In evidente illuminata fase esplorativa (vedi l’utilizzo sulla tromba dell’harmonizer digitale AMS ad enfatizzarne/drammatizzarne la voce), che a questo giro (siam nel 1981) affronta l’ignoto seducente di uno spazio geografico
immaginario senza protezione e produzione a maggior tasso d’ingombro
di Eno come in “Fourth World Vol.1-Possible Music”
dell’anno prima (anche se in “Dream Theory” presente al
banco mixer e come ospite strumentale insieme a Michael Brook,
Daniel Lanois, lo scomparso nel 2013 Walter De Maria e
Miguel Frasconi). Il quarto mondo che s’offre, spigoli,
vertigini e febbrile magia minimale (l’attacco in loop trombettero di
Chor Moiré, l’infinita bellezza a perdita d’occhio del
tribalismo di Courage e Dream Theory, che pensar a Rapoon è un attimo o giù
di li), Datu Bintung At Jelong un giocattolo occidentale, rotto, inceppato e abbandonato su una spiaggia di Giava, Malay, These Times, Girl On Fire e la bonus Ordinary Mind, ad ipotizzare e rendere tangibili sacre danze screpolate di futuro. Oltre ma proprio oltre.
Voto: 8
Marco Carcasi