(Intonema 2017)
Esplorare il suono, immergersi nell’acustica, avventurarsi nelle possibilità musicali dell’elettronica sono sicuramente cose buone e giuste. Lo si può fare in diversi modi, ma direi che due sono, in generale, le possibilità tipiche. Da un lato si può fare ricerca, provare nuove esperienze, cimentarsi con nuove tecnologie, tentare nuove strade, come metodo per creare e generare potenzialità poi esplorabili artisticamente. Senza pretese di fare musica, ma lavorando con i suoni. Si prova, si sbaglia, si ritenta e spesso si fallisce ancora. Non è detto che la qualità dei risultati sia sempre buona, anzi; ed è per questo che è meglio pensarci due volte (o sei) prima di presentarli al pubblico. In fondo, ciò che conta è sperimentare; il risultato musicale non è subito il fine della ricerca. Dall’altro lato si crea musica attraverso la sperimentazione. L’idea è anzitutto quella di fare buona musica; la sperimentazione è uno strumento, non il fine. Ed è per questo che si può pensare di affrontare presto il pubblico. Quindi se si fa sperimentazione per il gusto di farla, a che scopo presentare i risultati (se così si possono chiamare) al pubblico? L’unica spiegazione che mi posso dare è che ciò possa servire a qualche altro artista per ricavare qualcosa di sensato da una sperimentazione che non ha molto senso presentare come prodotto finito. È il caso di questo disco: circa 50 minuti di ininterrotto fastidiosissimo sibilo ‘texturale’ continuo, effetto ottenuto dal feedbacks di microfoni e cimbali. Neanche avessimo ancora bisogno di sapere che nella musica c’è spazio per il rumore, per suoni sgradevoli e per cose diverse dalle solite 7 ( o 12) note suonate con i soliti strumenti. Neanche ci fosse ancora bisogno sapere che si può comporre improvvisando. Neanche ci fosse ancora bisogno di irritare l’ascoltatore. Sono irritato. Pollice verso.
Voto: 2
Alessandro Bertinetto