(Piccola Orchestra Records 2017)
Gli Oyster sono un quartetto proveniente dall’area del nord-est, costituito dalla coppia di fiatisti Matteo Cuzzolin e Demetrio Bonvecchio, il primo al sax e autore di tutte le tracks – eccetto per una Chopin di Robert Shumann rivisitata con garbato piglio à la west-coast – e il secondo al trombone, avvolti dalla sezione ritmica di Marco Stagni e Filip Milenkovic, rispettivamente contrabbasso e batteria. Piuttosto chiaro da subito il messaggio lanciato all’esterno: suonare dello squisito modern-jazz che risulti originale negli arrangiamenti senza andare troppo a pescare dal calderone dell’avanguardia e della dissonanza. Una garbata ventata di newthing composta, elegante, a partire dall’accurato leit-motiv melodico che avvolge il corpo di Everybody Becomes G, dove gli Oyster sono ben attenti a non forzare mai troppo la mano, anche quando in Askja Cuzzolin si cimenta in un forbito assolo, dialogando a macchia col trombone, a sua volta ‘prima-donna’ nella successiva Ken Loach (For the Losers). Le aperture a toni più iracondi e libertari, con dosaggi sempre calibrati ad hoc, si possono carpire dall’ascolto di Funeral Intro e Funeral Mafia, ritornando subito dopo nel climax cool di Popochan e in quello dall’affilato retrogusto esotico-samba di Oyster Have Feelings Too, tra i migliori brani del lotto, anche per l’uso che il quartetto fa di note ripetute e incastrate tra esse con gusto minimale. Buona musica, bravi musicisti, resa finale più che soddisfacente. Il giovane jazz italiano che ci piace.
Voto: 7
Sergio Eletto