(OMM 2018)
Accostare opere di autori distanti di (quasi tre) secoli può sembrare operazione azzardata, per quanto sempre interessante e capace di stuzzicare la curiosità di ascoltatori dai gusti diversi. In questo caso, il successo dell’accostamento è garantito dal fatto che gli autori in questione, J.S. Bach e Philip Glass, condividono più di un tratto. La loro è una musica che travalica i confini spazio-temporali per guardare all’eternità. Le mirabili geometrie che informano le loro partiture, pur ottenute con mezzi diversi – da un lato, le complesse griglie contrappuntistiche bachiane, dall’altro, le strutture circolari e i processi additivi del minimalista americano -, cristallizzano la loro visione in un regno di pura bellezza. L’energia ritmica delle sezioni veloci scorre con estrema fluidità; l’intensa espressività delle linee melodiche – pensiamo al sublime Andante del concerto bachiano per tastiera (Op. BWV 1058), o all’ipnotico terzo movimento (dedicato ad Arvo Part) del terzo concerto per pianoforte di Glass – è come spogliata degli accenti più estremi e consegnata a una dimensione quasi metafisica. La giovane pianista Simone Dinnerstein si sta affermando come una delle più accreditate interpreti del repertorio tastieristico di Bach; l’orchestra da camera per archi A Far Cry, fondata nel 2007, non ha un direttore, preferendo prendere le decisioni in maniera democratica e collettiva, senza con ciò rinunciare all’apporto individuale di ogni singolo componente. Entrambi i soggetti si dimostrano interpreti ideali per pagine, come queste, in cui il solista non si impone sull’orchestra, ma intesse un dialogo costante con le parti strumentali, e in cui rigore strutturale e sensibilità di tocco e di espressione vanno di pari passo.
Voto: 10
Filippo Focosi
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