(Innova 2018)
Esther Lamneck è una virtuosa del clarinetto, ha collaborato con diversi compositori e direttori (tra cui Pierre Boulez e insegna alla New York University. In questo disco si cimenta con il tárogató, uno strumento ad ancia, dal timbro ricco di armonici, della tradizione ungherese e rumena. Il concetto dell’album è questo: i brani presentano le collaborazioni tra l’artista di New York e sei compositori, di diverse nazionalità. Lamneck improvvisa e i compositori (Cort Lippe, Mara Helmuth, Paola Lopreiato, Sergio Kafejian, Jorge Sosa e Alfonso Belfiore) reagiscono in tempo reale con il live-electronics. Indubbiamente l’artista è una musicista sopraffina, il sound è originale e davvero particolare, e l’idea generale dell’album è fortemente innovativa. Tuttavia, l’impianto sperimentale non riesce a spezzare la generale monotonia del lavoro. Il suono del tárogató, al principio suggestivo, quasi auratico e misterioso, diventa sempre più ossessivo e ripetitivo, nonostante lo stile nervoso che contraddistingue il modo in cui Lamneck spesso lo suona (o forse proprio per questo?). Certo, ci sono momenti in cui la collaborazione live tra l’elettronica e la solista diventa più efficace. Penso in particolare a un momento centrale di Construçao e ad Enchabtement, in cui, appunto, l’incantesimo è dovuto all’atmosfera di sospensione che, finalmente, si leva dalle note, ora più distese, del tárogató (ma via via anche qua l’incantesimo, ahimè, si spezza) o a Quanti di luce e suono, in cui la sensazione sinestetica di luce trasmessa acusticamente è pregnante, ma anche in questo caso a dispetto dell’eccessiva insistenza con cui è presentata. Insomma, nel complesso mi aspettavo almeno qualcosa di più vario.
Voto: 5
Alessandro Bertinetto