(Edison Box/La stalla domestica/Fil1933group/Self/Artist First 2018)
Siete disposti ad intraprendere un’indagine per scoprire come Manuel Bonzi, alias Il Re Tarantola, abbia guadagnato tutti quei soldi in una sola settimana? Piuttosto ne vale la pena? Anche perché stando a quanto canta tutto sembra, tranne che si sia arricchito improvvisamente. In questo nuovo disco, infatti, il Re Tarantola è più cinico, autoironico e disincantato che mai.
Su una base punk-rock tagliente, con bellissime chitarre taglienti e molto rumorose Bonzi struttura tutti gli ottimi dieci brani del disco. Parte con il divertente lamento cinico sull’amara condizione dei cantanti indie, perché non vende i suoi dischi, (Boero), quindi cita i Tre allegri ragazzi morti in Sono un campione a ballare da seduto, dove sottolinea la fine dell’inventiva del rock, arrivato ad un irreversibile punto morto in cui si ricicla tutto ciò che c’è già stato.
Se Agguati è un’avvincente ballata pop-rock sul ‘meta-razzismo’, in Un nonno bellissimo si lascia andare ad un testo generazionale più o meno delirante, pieno di rimpianti per il fatto di non essere diventato nonno.
Il disincanto trova il suo apice nell’esistenzialista cinica e depressa Mi odio, ma per fortuna con la successiva Non ho mai avuto il fisico di una volta II si risveglia in un punk ‘no future’ sulla precarietà giovanile, che non si arresta. A seguire due omaggi accattivanti al punk ’77, e in particolare ai Ramones con l’uno-due Eroina per bambini cattivi–La nostra evoluzione artistica...
Le ultime due canzoni sono la malinconica La Valcamonica è un cammello intergalattico e il beat scanzonato e frenetico di La maglietta di Joe Cocker.
Con questo lavoro Il Re Tarantola ha ripreso l’indispensabile lavoro che avevano iniziato e interrotto all’inizia della loro carriera Le Luci della Centrale Elettrica e il Management, non più del dolore post operatorio.
Voto: 9
Vittorio Lannutti