(New World Records 2018)
Nome storico tra gli sperimentalisti americani del XX secolo, Christian Wolff (1934) è il protagonista di questo intrigante Cd della New World Records con due (relativamente recenti) composizioni orchestrali. In John, David, del 1998, Wolff rende omaggio a due suoi amici illustri, ovvero John Cage e David Tudor, la cui influenza, soprattutto del primo, è percepibile nel ruolo costruttivo assegnato al silenzio, in quanto unica costante di un brano frammentario, in cui si alternano senza apparente nesso strutturale materiali musicali di vario genere: sequenze accordali ripetute, delicati patterns, accenni di danza, passaggi cacofonici, e, nella seconda parte, in cui è assegnato un ruolo preminente al percussionista – che risponde al nome di Robyn Schulkowsky -, anche canzoni popolari, sebbene trasfigurate fino al punto da essere difficilmente riconoscibili di primo acchito. Non si discosta da questo idioma compositivo la successiva e più lunga Rhapsody (2009; quasi mezz’ora di durata), in cui l’Autore suddivide l’orchestra in tre sottosezioni di 10 elementi (otto archi più trombone-arpa/flauto-corno/fagotto-tromba) – ciascuna con un proprio direttore – per esplorarne le varie, possibili interrelazioni. Anche qui abbiamo a che fare con una scrittura a ‘patchwork’, consistente nell’assemblaggio dei materiali più disparati per ciò che concerne la lunghezza, il volume, il colore strumentale, e più in generale il carattere (prevalentemente dissonante). Una tecnica che Wolff stesso definisce come ‘un bizzarro mix di Ives e Satie’, in cui alla densità e al polistilismo del primo fa da contraltare la semplicità e l’immediatezza del secondo. Ma si potrebbero fare anche i nomi di Feldman e, di nuovo, di Cage, nella misura in cui sono le pause, quando non le decisioni arbitrarie dei musicisti, a scandire i tempi dell’alternanza e dell’accostamento e a far sì che da essi emerga non già una narrazione, bensì un qualche, seppur labile e (volutamente) precario, senso di continuità.
Voto: 6
Filippo Focosi