(Discus 2018)
Un Martin Archer molto elettronico e cool quello che ascoltiamo in quest’album. 15 tracce decisamente lounge, dubstep, con tonalità scure, a tratti cupe, e segnate da un voluto atteggiamento distaccato. A fare da protagonista è l’esibizione di anni di ricerca nella sperimentazione e nella manipolazione di campionature sonore e di macchine ritmiche. I brani sono per lo più strumentali, ma di tanto in tanto contribuisce anche la vocalist Rosie Brown. La caratteristica principale è il loro carattere ripetitivo: insistono su strutture e pattern timbrici/ritmici e cellule melodiche, muovendosi lentamente per addizione o sottrazione di elementi. Se è notevole l’impronta stilistica di un creativo come Archer, e pur immaginandomi il successo di questo sound mischiato al tintinnio del ghiaccio dei cocktail serviti in dance club alla moda, resto un po’ perplesso dall’eccesso di oaca luce opaca e soffusa, atmosfere dark e ritmi ossessivi e dalla mancanza di quella verve cui il musicista britannico ci ha abituati anche nelle sue produzioni più elettroniche.
Voto: 6
Alessandro Bertinetto