Dischi Thurston Moore (con Tom Surgal) ‘Klangfarbenmelodie…And The Colorist Strikes Primitiv’ Pubblicato il 26 Febbraio 201912 Maggio 2021 da Stefano Marino (Glass Modern Records 2018)Se nei primi anni ’90 eri un adolescente parzialmente disadattato, o meglio non perfettamente adattato, un po’ ‘weirdo’, con una sensazione di essere sempre e ovunque e comunque ‘fuori posto’, ma al contempo molto curioso, molto aperto a nuove esperienze e molto vorace di nuove letture e nuovi ascolti, insomma un po’ quello che, dopo due birrette e varie chiacchiere filosofiche al pub, una sera il mio amico Alessandro ha definito come ‘un nerd erudito’ (magnifica definizione, mirabile categoria idealtipica: ‘chapeau!’): ecco, se nei primi anni ’90 eri un adolescente così, allora i Sonic Youth (insieme ad altre band variamente definite ‘indie’ o ‘grunge’ o ‘noise’ o altre etichette del genere che servono più alla catalogazione della musica, e dunque alla sua incarcerazione, che alla sua reale comprensione) facevano proprio al caso tuo, erano una band in cui ti rispecchiavi, una band che, proprio in virtù della sua parziale instabilità musicale, con quella miscela indecifrabile di solidità rock da un lato e scatenamento del caos del puro rumore dall’altro, dava un precario senso di identità al tuo altrimenti molto fragile senso di non-identità con te stesso, con gli altri e col mondo. Che si trattasse di semplice moda musicale (e dunque di qualcosa di superficiale e transitorio: detto col massimo rispetto per la superficialità e la transitorietà, beninteso), o di qualcosa di più ‘profondo’ (qualunque cosa ciò possa voler dire nell’ambito di una musica che, sì, è spesso genuina e vitale e pulsante e di ottima qualità, ma è comunque ‘inautentica’ in quanto prodotta dall’industria culturale, e dunque vive di questa contraddizione intrinseca, e quando sa gestire bene la propria contraddizione, la contraddizione che essa stessa ‘è’, trae proprio da ciò la sua linfa e la sua forza e la sua energia), non è cosa che qui importi un granché. Ciò che conta è che, se nei primi anni ’90 eri un adolescente un po’ ‘nerd erudito’ e un po’ ‘indie’, allora quello era il modo in cui pensavi, vivevi, sperimentavi la realtà, e soprattutto il modo in cui sentivi: ‘Yeah, this is how I feel’, come canta Eddie Vedder in ‘Smile’. Bene, se eri un tipo così, allora, una volta arrivati al ’94, avevi già divorato infinite volte, ascolto dopo ascolto, dischi come ‘Sister’, ‘Daydream Nation’ e ‘Dirty’ dei Sonic Youth (la leggendaria band attiva dal 1980 e formata da Thurston Moore, Lee Ranaldo, Kim Gordon e Steve Shelley), avevi già masticato e digerito tantissime volte quei dischi (e quindi, da adulto, non avresti permesso nemmeno al grande Adorno di dire che la ‘popular music’ è tutta musica ‘predigerita’), e a maggio del ’94 ti fiondavi nel negozio del tuo spacciatore di cd per essere il primo nella cerchia dei tuoi amici un po’ strambi ad acquistare il loro ultimo lavoro, ‘Experimental Jet Set, Trash and No Star’. Ora, a quello stesso magico e indimenticabile anno, il 1994, sembra che risalgano anche la performance dal vivo e la registrazione delle tre tracce che compongono ‘Klangfarbenmelodie…And The Colorist Strikes Primitiv’, il disco solista di Thurston Moore, in duo col batterista free jazz Tom Surgal (anche qui: qualunque cosa significhi oggi una categoria o un’etichetta come ‘free jazz’, che forse aveva un senso chiaro e ben identificabile ai tempi di Ornette Coleman e Archie Shepp, ma è molto dubbio che lo possegga ancora), che ci troviamo qui a recensire. Un disco che, stando alle ‘liner notes’ del disco, era stato originariamente pubblicato nel 1995 solo come ‘limited edition’ in Nuova Zelanda, ha dato poi vita a una collaborazione fra Moore e Surgal proseguita nel 1996, 2000 e 2015, ed è stato ripubblicato alla fine del 2018 dalla casa discografica Glass Modern Records. Il disco si compone di (o, se preferite, si scompone in) tre tracce, tutte di una certa durata, rispettivamente intitolate, nell’ordine, Klangfarbenmelodie…And The Colorist Strikes Primitiv (Part 1), Klangfarbenmelodie…And The Colorist Strikes Primitiv (Part 2), e, un po’ cripticamente, Phase II; e lo si può sinteticamente definire come una lunga, prolungata, faticosa, noiosa e in molti momenti francamente estenuante masturbazione reciproca fra Moore e Surgal; come un esercizio autocelebrativo logorante, sfibrante, non gratificante, non appagante, fastidioso, o meglio ancora insensato, privo di senso, privo di scopo. ‘This lo-fi live performance, recorded in 1994, is candidly charming, revealing Moore’s interest in freeform improvisation. His guitar noise peaks in ways so distinct that many parts could be mistaken for a live recording from Sonic Youth’s heady and chaotic ’80s period’, si legge sempre nelle ‘liner notes’ dell’edizione 2018 del disco. Ebbene no, purtroppo no, mi dispiace molto dirlo ma le ‘liner notes’ mentono: le cavalcate caotico-cacofoniche dei Sonic Youth, anche quelle più lunghe e devastanti e disturbanti e ‘freeform’, non hanno mai suscitato nell’ascoltatore l’effetto di un mix confuso di pseudo-cervellotico e pseudo-istintivo che restituiscono invece le tre tracce di ‘Klangfarbenmelodie… And The Colorist Strikes Primitiv’. La lacerazione del tessuto musicale tradizionale, lo sfibramento dei modi abituali di sovrapporre e intrecciare chitarre e batteria, anche nelle performance più sperimentali dei Sonic Youth restituiva, alla fine del decorso temporale del brano, la sensazione (seppure un po’ ‘sui generis’, certo) di uno scopo, di un senso musicale da cogliere e da conservare dentro di sé come un segreto prezioso, magari non del tutto comprensibile nell’immediato ma della cui sensatezza non c’era mai da dubitare. Laddove, in una performance del genere (così come, seppure in altro modo, in varie prove di Moore con la formazione jazz-hardcore The Thing del sassofonista svedese Mats Gustafsson), se privato del supporto dei solidi, anzi granitici Gordon e Shelley, e della magistrale ‘arte del minimo passaggio’ ‘contrappuntistico-noise’ del partner chitarristico Ranaldo, Moore sembra solo disorientato, sembra solo capace di vagare avanti e indietro, a destra e a sinistra, senza mai nemmeno inseguire o incalzare musicalmente il batterista per creare qualcosa come un’alchimia, un amalgama, una sintonia, ma dando solo l’impressione di essersi trovato lì sul palco per occupare distrattamente e insensatamente in quel modo lo spazio a disposizione, per ingannare in quel modo il tempo a disposizione: senza un senso, senza uno scopo, senza una direzione, senza un’intenzione e senza nemmeno la dignità di voler esprimere qualcosa come il ‘senza-intenzione’. Non ci sono né costruzione né espressione in una (dis)avventura musicale come ‘Klangfarbenmelodie…And The Colorist Strikes Primitiv’: è solo un coagulo di suoni, privo tanto dell’eccitazione della dinamica musicale, quanto del fascino ammaliante che ha talvolta la statica musicale; è un finto shock che, in realtà, non sciocca l’ascoltatore proprio per niente, ma si limita solo ad annoiarlo; è una pseudo-orgia selvaggia di rumori che, in realtà, è docile e mansueta e appagata del suo manierismo. In definitiva, se eri un adolescente un po’ ‘nerd erudito’ e un po’ ‘indie’, nei primi anni ’90, sviluppavi sì un’autentica venerazione per Thurston Moore e i Sonic Youth, ma apprendevi anche (e non per insegnamento sul manuale di storia della filosofia o per averlo letto in Nietzsche, giacché quello sarebbe arrivato qualche anno dopo, ma per semplice e banale e concreta prassi di vita, per esperienza quotidiana di confronto e scontro con i limiti: i tuoi limiti, in primo luogo, e poi quelli degli altri, compresi coloro che amavi) l’importanza di un severo spirito critico e autocritico. Quello stesso spirito critico che, da adulto, di fronte a un disco francamente inascoltabile (e non per l’eccesso di dissonanze, i ritmi dissociati-frantumati, il magma sonoro o la sovrabbondanza di feedback, figuriamoci; ma semmai perché qui le dissonanze, le dissocia Voto: 2 Stefano Marino Glass Modern Records Bandcamp Page Stefano Marino Rudolf Eb.er ‘Om Kult: Ritual Practice Of Conscious Dying – Vol.1’ Tania Chen Jon Leidecker “Live in Japan”